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Il paradigma dell’unità offre un modello organizzativo, i “sette aspetti”, che porta a vivere una sorta di unificazione interiore ed esteriore.

 

Nelle nostre società culturalmente e religiosamente pluraliste le certezze fino a ieri ritenute valide e, con esse, le identità forti, si sono frammentate. La confusione di idee, scelte, comportamenti, mostra una sorta di smarrimento esistenziale.
In tale situazione c’è chi, andando controcorrente, fa delle scelte forti e coerenti, ma c’è anche chi cerca semplicemente di sopravvivere e chi tenta una ricomposizione interiore, rimescolando liberamente frammenti di varia provenienza, ammucchiati e resi disponibili nel supermarket religioso e culturale del nostro tempo.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti ed evidenziano che si è su una strada che non va nella direzione dell’edificazione di una società più umana né tanto meno della costruzione della civiltà dell’amore.
Dove cercare per trovare risposte all’altezza di tale sfida? Gli esperti di scienze sociali da tempo sono alla ricerca di nuovi paradigmi che offrano una chiave di lettura dell’attuale società e indichino dei percorsi validi per una nuova ricomposizione sociale.


Come un arcobaleno: i “sette aspetti”


Con la certezza che lo Spirito Santo non può far mancare il suo aiuto, la sua luce anche per questo nostro tempo, noi guarderemo a uno dei suoi doni per l’oggi, al carisma dell’unità. Da esso emerge un nuovo paradigma, il paradigma interdisciplinare dell’unità che è insito nel pensiero, nella spiritualità e nella vita di Chiara Lubich.
Da questo ricco paradigma dell’unità si è originato uno specifico modello organizzativo, normalmente chiamato dei“setti aspetti”.
Quale l’origine di questo modello, o semplicemente, dei sette aspetti? Essi sono nati da un’intuizione di Chiara, quando comprese che l’amore non solo doveva essere la vita delle persone del nascente Movimento, ma doveva essere anche la loro regola. Dal carisma, infatti, era sorta non solo una spiritualità nella Chiesa, ma anche un’Opera: “e – diceva Chiara – per avere un’Opera… è necessario un ordinamento, una struttura, una regola”[1].
E così spiegava la sua intuizione: “L’amore è luce, è come un raggio di luce, che, quando attraversa una goccia d’acqua si spiega in arcobaleno, dove si possono ammirare i suoi sette colori. Tutti colori di luce, che a loro volta si spiegano in infinite gradazioni. E come l’arcobaleno è rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto, l’amore, la vita di Gesù in noi, avrebbe avuto diversi colori, si sarebbe espressa in vari modi, diversi l’uno dall’altro”[2]. Così la vita della nuova comunità si è ordinata in sette aspetti, tutti espressione dell’amore.
Quindi, la radice di questi sette colori è l’amore, è la vita di Gesù in ciascuno che si esprime in tanti modi, uno diverso dall’altro.
Questa vita di Gesù, presente nel singolo e nella comunità, questo amore che si spiega come un arcobaleno, non si ferma ai singoli, e nemmeno ai soli rapporti interpersonali: esso costituisce anche una regola di vita, dà la possibilità di inondare il mondo col divino e di rendere nuove tutte le realtà sociali, comprese, quindi, le strutture che così vengono colte, nella loro dimensione storica, con l’occhio di Dio.
Di seguito esamineremo, con brevi tocchi, ciascun aspetto, per vederne alcune implicazioni concrete e sintetizzandolo in una parola-chiave[3].

Economia

La vita di Gesù in ognuno, di Gesù presente nella comunità, calandosi nella concretezza delle vicende umane incontra un primo grande ambito, quello dell’economia che, esemplificando, tocca il mondo delle attività produttive e quello finanziario con le relative strutture, l’uso personale dei beni, il problema della povertà, il mondo del lavoro, ecc.
Gli interrogativi riguardo a questa realtà sono oggi particolarmente numerosi, inquietanti, impellenti: come uscire dall’attuale crisi economica, come portare equilibrio fra le varie aree geografiche, come far uscire dalla povertà il crescente numero di persone che mancano dei beni essenziali, come dar lavoro – un lavoro decente – soprattutto alle giovani generazioni?
Si sente la necessità di nuove intuizioni, seguite da nuove prassi che indichino la strada per il futuro. Il carisma dell’unità, sia con il suo patrimonio spirituale e concettuale che con la sua prassi modellata sulla vita trinitaria, può offrire intuizioni e concretizzazioni all’altezza delle sfide oggi presenti nel mondo dell’economia.
Ne indico alcune: comunione dei beni a livello personale e anche comunitario sul modello delle prime comunità cristiane; uso personale dei beni sobrio, essenziale; spazio al dono, alla gratuità, alla Provvidenza nella normale vita economica; ridare significato e speranza al mondo del lavoro; dar vita a strutture di comunione; lavorare a livello dottrinale per dare dignità scientifica alle esperienze in atto come fortemente auspicato da Chiara nel maggio del 1998.
Qualche esempio: il lavoro vissuto nello spirito del carisma dell’unità ritrova il suo significato profondo, perché guarda al progetto che Dio ha su di esso e, quindi, acquista un di più di senso, di collaborazione, creatività, gioia, bellezza, nonché di maggiore efficienza.
Il carisma dell’unità, poi, per la presenza di due o più persone unite nel nome di Gesù (cf. Mt 18, 20), porta alla formazione nei luoghi di lavoro di cellule vive che diventano fermento di vita evangelica, di novità e risposta a tanti interrogativi che lì sorgono.
Lo spazio dato all’intervento della Provvidenza porta a formare quello che Chiara fin dai primi tempi del Movimento ha chiamato capitale di Dio, a significare l’ingresso di Dio stesso nel mondo dell’economia, quando chi vi opera cerca prima di tutto il suo regno (cf. Mt 6, 33). Un capitale che porta con sé qualcosa di sacro e che, quindi, andrà usato secondo il pensiero di Dio: ecco l’antidoto alla corruzione, agli sprechi, al lusso sfrenato, al consumismo.
Con il progetto Economia di comunione, il modello di vita trinitario, tipico del carisma dell’unità, ha fatto ingresso, anche se ancora timidamente, nell’impervio campo delle strutture economiche.

Irradiazione

L’amore non solo fa circolare i beni, ma spinge anche a irradiare, ad aprirsi agli altri in cerchi concentrici sempre più ampi, fino a raggiungere l’umanità intera.
Sappiamo che il progetto di Dio sull’umanità è che essa formi una sola famiglia dove tutti si trattano da fratelli, come dice la Gaudium et spes (24): “Iddio che ha cura paterna di tutti ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro con animo di fratelli”.
Questa famiglia, vivendo nella storia, necessita di strutture che siano in grado di farle raggiungere un fine storico in continua evoluzione: il bene comune. È questo un obiettivo che interpella tutti e, per tutti, c’è spazio per un contributo personale insostituibile.
Guardiamo ora uno degli aspetti del bene comune che sta sempre più emergendo e che tocca ciascuno di noi: il dialogo.
Nelle nostre società sempre più multietniche, multiculturali, multireligiose viviamo sulla nostra pelle incomprensioni, conflittualità, chiusure di ogni genere. In tanti dei nostri paesi uno strisciante razzismo avvelena i rapporti.
La Chiesa con il suo magistero sociale invita al dialogo, anzi presenta il dialogo come uno dei compiti storici della Chiesa di oggi. Profeticamente Paolo VI già nel 1964 nell’enciclica Ecclesiam suam scriveva che “la Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere” (67).
Il carisma dell’unità come suo contributo offre una vera e propria arte del dialogo che scaturisce sulla base di un atteggiamento suo tipico: il farsi uno.
Il farsi unoè la base e, insieme, l’orizzonte di quest’arte del dialogo. Significa portare i pesi e le gioie dell’altro e farle proprie: ridere con chi ride, piangere con chi piange, essere disoccupato con chi è senza lavoro, emarginato con chi è giunto nel nostro paese in cerca di una vita migliore.
Significa essere capaci di ascoltare l’altro sino in fondo e anche di imparare dall’altro con la consapevolezza che nessuno possiede la verità tutta intera, ma che essa va cercata insieme. Il farsi uno porta con sé una spinta che fa cercare l’altro – chiunque sia – là dove si trova e lo fa accogliere in pienezza nelle condizioni in cui si trova.
L’autentico farsi uno ha la forza di aprire varchi che permettono anche l’annuncio, un rispettoso annuncio, del proprio patrimonio religioso e culturale, in un fecondo scambio di valori, di esperienze, di vita.
Su questa base prendono vita e importanza alcuni atteggiamenti che, a vari livelli, portano nel concreto a realizzare un dialogo autentico.
Un primo livello è dato dalla tolleranza, atteggiamento questo che può impedire lo scontro, il contrasto aperto, che così facilmente si scatena nelle nostre città. Ma per un vero dialogo occorre anche il rispetto che fa accettare la differenza dell’altro, la sua diversità, riconoscendo in essa la possibilità di un arricchimento per entrambi.
A un livello ancora più alto troviamo la solidarietà, cioè attenzione all’altro in cui ci si identifica, condividendo preoccupazioni, pene, sofferenze, angosce, necessità spirituali e materiali. La solidarietà è virtù che nasce da un cuore capace di sentire e commuoversi nei confronti del dolore altrui e che diventa impegno concreto, perché ognuno si sente, e realmente è, responsabile di tutti.
Tutti questi atteggiamenti possono essere riassunti nell’amore, l’amore evangelico. Esso è universale, non è di parte, non è escludente secondo gusti, categorie di ogni tipo, sesso, etnia, colore della pelle, cittadinanza, religione; prende l’iniziativa, muovendo il primo passo, sa amare il nemico e, sull’esempio di Gesù, è in grado di perdonare.
Quest’arte del dialogo, così come l’abbiamo brevemente declinata, si è già rivelata quanto mai preziosa nel far fiorire brani di fraternità ovunque uomini e donne sono stati capaci di testimoniare con la loro vita la forza sempre nuova del messaggio evangelico.

L’amore va in profondità

Il rapporto con l’Assoluto, con Dio, è fondamentale per la nascita e per la crescita di ogni civiltà e, quando questa radice viene tagliata, una civiltà inaridisce, diventa incapace di dare nuovi frutti. È questa un’esperienza ben presente nella nostra epoca.
Chiara, ancora nel 1980, costatava, proprio nel periodo natalizio, che Gesù era stato sloggiato. E, “hanno sloggiato Gesù” è stato per tanti, bambini, giovani e adulti, il grido che ha fatto aprire gli occhi verso quale deriva stessero andando le nostre società, in particolare nel mondo occidentale.
Le classiche domande: Dio esiste? ma chi è Dio? e Dio dove è? cosa fa? quasi non risuonano più. Dio non è più combattuto, semplicemente perché è ignorato. E le altre fedi, con le loro differenze, spesso incutono paura, fastidio, insofferenza.
Ma come sappiamo, quando viene meno la fede in Dio, viene scossa anche la fede nell’uomo. L’umanesimo perde la sua centralità, surclassato dalla tecnologia, da una visione puramente utilitaristica della vita. L’uomo vive orfano dei valori fondamentali per la vita individuale e comunitaria. La cultura dei diritti, della legalità, della solidarietà, come pure l’onestà, la verità, il rispetto della parola data, che fine hanno fatto?
Ma come il buio chiama la luce, così questa eclissi del divino, vera e propria “notte mistica collettiva”, chiama la presenza, di una “mistica collettiva”, in grado di ripresentare Gesù, di riproporre la sua presenza, non solo nei luoghi di culto, ma nella concretezza della vita, nei luoghi in cui essa si svolge.
Il carisma dell’unità viene incontro a questi interrogativi offrendo una spiritualità tipicamente collettiva: in essa si cammina insieme verso Dio e il fratello non è ostacolo a un percorso di santità, ma anzi, ne è la via per eccellenza. Io – il fratello – Dio: era il trinomio caro a Igino Giordani che così esprimeva il percorso di questa spiritualità collettiva.
Siamo quindi in presenza di una spiritualità che propone un nuovo umanesimo; un umanesimo pieno, perché si basa su una particolare equazione: il fratello = Gesù.
Ma il carisma dell’unità è risposta a questa notte mistica collettiva anche per un altro motivo. In essa Chiara ha sempre visto il volto di Gesù Abbandonato che nel momento culmine del suo dolore ha provato e fatto suo lo smarrimento, la mancanza di senso, di identità, ma che soprattutto ha provato l’infinita lontananza da Dio.
E lei stessa ci ha anche fatto dono dell’esperienza che nell’abbraccio senza se e senza ma di Gesù Abbandonato, questa notte mistica collettiva può passare alla luce della risurrezione, sì da ripetere con san Lorenzo: “La mia notte non ha oscurità, ma tutto risplende nella luce”.

L’arte della vita

La vita dell’amore, così come la stiamo declinando alla luce del carisma dell’unità, porta con sé quella che potremmo definire “l’arte della vita”.
Non si tratta qui di soffermarci sul miglioramento della qualità della vita, o di guardare al culto della prestanza fisica, o all’allontanamento delle malattie, o all’oblio della morte.
Qui siamo su un piano diverso: guardiamo al dono della vita, così come scaturisce nel disegno di Dio; come ci viene ridonato dalla redenzione operata dal Figlio nello Spirito e che prende dentro tutta la vita, ogni forma di vita. Guardiamo a Maria “fiore dell’umanità”[4].
Con questo sguardo potremo comprendere che l’arte della vita coincide con l’arte dell’amore, quell’arte che Chiara ci ha consegnato con la sua vita e il suo insegnamento. È l’amore che fa fiorire la vita e l’amore deve essere la forza che le fa portare a maturazione i frutti.
Ma se manca l’amore, come potrà l’arte della vita dispiegarsi nella sua pienezza di significato nei momenti di malattia, nella fase di declino fisico e in quel momento unico e decisivo che è la morte?
Possiamo anche guardare a particolari aspetti di quest’arte della vita, come, ad esempio, a quelli che concernono non tanto il corpo fisico, quanto il corpo sociale, la sua formazione, i suoi momenti di salute e malattia che conosciamo normalmente come pace e guerra, terrorismo, o gli aspetti ambientali oggi così alla ribalta.
Anche in questi campi il carisma dell’unità sta dando un suo specifico contributo. Avendo posto al centro dei rapporti il comandamento nuovo di Gesù (cf. Gv 13, 34) ha posto in essere quell’amore che unisce, rispondendo a interrogativi vecchi di secoli. Là dove la storia ci consegna l’incapacità di rapportasi in modo positivo con l’altro, si scopre che Cristo stesso diventa lui il legame fra persona e persona, diventa la sorgente di unità fra due o più.
Così i rapporti personali si sostanziano d’amore; le difficoltà, i contrasti più o meno grandi che possono insorgere vengono superati attraverso l’amore a Gesù Abbandonato e visti come possibilità di fare uno scatto, un salto di qualità per un rapporto più maturo e più profondo. La fraternità universale, la pace, il mondo unito, non sembrano più utopie, ma cammini che si possono intraprendere con profitto, quando si ha come compagno di viaggio Gesù presente fra due o più.

Un “luogo” per abitare

L’assemblea, la comunità, ha bisogno di un “luogo”, di una casa, nel senso più pregnante, che la raccolga, la racchiuda in sé, perché senza una casa dignitosa anche la vita che in essa si svolge perde di dignità.
La casa deve racchiudere, ma al tempo stesso deve essere aperta verso l’esterno, perché essa fa parte di spazi vitali più ampi come i villaggi, i quartieri, le città, ecc.
Il tema della città è molto attuale. Ma ci possiamo porre la domanda: quali città per un mondo più fraterno e più unito? Quelle supertecnologiche, ma pervase di individualismo, solitudine, violenza? Quelle attorniate da baraccopoli, vere “corone di spine” che le circondano e dove le disuguaglianze troppo stridenti tolgono dignità a chi non ha come anche a chi ha troppo? O forse troviamo qualcosa di adatto solo nelle città di piccole dimensioni, più a misura d’uomo? In tanti si sono cimentati per rispondere a questi interrogativi dando risposte varie, talvolta valide, talvolta utopiche.
Chiara ci ha lasciato anche sotto questo aspetto una’eredità quanto mai preziosa. Fin dagli inizi del Movimento sosteneva che dal carisma sarebbero sorte non solo case, ma città aventi come caratteristica sia una spiccata armonia edilizia che rapporti fraterni atti a far brillare la presenza di Dio tra i cittadini. Tutto ciò non è oggi un’utopia, perché sono più di trenta le cittadelle sorte nel mondo che stanno a testimoniare questa realtà.
Se la comunità ha bisogno di una casa, necessita però anche di un sistema di governo, cioè di una struttura politica. Anche sotto questo aspetto il carisma dell’unità offre un suo contributo specifico, là dove indica il modello trinitario come paradigmatico sia per le relazioni sociali che per le istituzioni. Scriveva Chiara nel 1996: “La società… deve ordinarsi sul modello della Trinità… nei suoi rapporti fra i cittadini e nei rapporti tra gruppi, istituzioni, partiti, ecc.»[5].
Concretamente, alla luce del carisma dell’unità, la comunità politica viene vista come formata da un tessuto sociale vivo, partecipe, attento alle esigenze del bene comune, dove si vive un rapporto di reciprocità fra governanti e governati e la politica viene vista come “l’amore degli amori”.
È questo solo un sogno o una utopia? La risposta può essere data dall’osservazione delle piccole o meno piccole esperienze che, alla luce del carisma dell’unità, sono maturate in varie parti del mondo.

Sapienza

Il cammino verso un mondo unito deve percorrere anche le vie della ricerca della verità, della sua elaborazione culturale, della sua trasmissione. Ma questa ricerca se non vuole rimanere sterile deve essere radicata nell’amore: amore verso Dio, verso l’uomo, la storia, il mondo.
“Chi non ama non ha conosciuto Dio” (1 Gv 4, 8), ci ricorda l’evangelista Giovanni e, senza paura di sbagliare, possiamo aggiungere: ma neppure l’uomo e neppure il mondo.
È forse per questo motivo che nelle società più progredite dal punto di vista tecnico, più ricche economicamente, ma anche più indifferenti al messaggio religioso, la cultura ristagna, non è più capace di volare alto, di dare risposte credibili? È forse per questo che le nuove generazioni trovandosi a nascere e a crescere in una società umanamente più povera, risultano più fragili, quasi smarrite?
I carismi sorti nella Chiesa possono essere risposta anche sotto questo aspetto. Essi sono non solo idee, progetti senza fondamenta. Essi, nella loro concretizzazione, sono eventi storici, portatori di nuova luce e, spesso, di nuovo pensiero.
Il carisma dell’unità, fin dal suo nascere, è stato portatore non solo di nuovi modi di agire, ma anche di un nuovo modo di pensare, di una nuova visione dell’uomo, del mondo, della storia. A base di tutto ciò una comprensione eminentemente trinitaria di tutte le realtà. Da essa, via via col tempo, si sono delineate nuove linee culturali, ancora incipienti, ma già feconde.
Citiamo la categoria della fraternità – una fraternità sostanziata di rapporti sul modello trinitario – calata nei rapporti sociali, nel mondo economico, in quello giuridico e in genere in tutte le scienze umanistiche. Poi un passo in avanti con la categoria della comunione, e un altro ancora con l’agire agapico, come agire tipico di chi vuole far calare nel concreto, nel vissuto, le implicazioni di un agire che guarda al modello trinitario.
Sono queste alcune delle piste in cui si sta lavorando con serietà, con continuità, cercando anzitutto che espressioni come comunione e agire agapico siano una realtà fra chi si impegna in questo approfondimento, tanto nei gruppi di ricerca che in quelli di verifica empirica. È questa una condizione indispensabile per la credibilità della ricerca stessa e per poter fare questo cammino con tanti compagni di viaggio che si sentono stretti in paradigmi superati, ormai inadatti, e tentano nuovi percorsi, nuove soluzioni. Sono persone assetate anch’esse di verità, di un maggiore rispetto per l’uomo, di approdi diversi da quelli che certi tipi di percorsi scientifici avevano portato.

Comunicazione

Il cammino verso un mondo unito non può non essere intessuto di comunicazione, ma di una comunicazione che porta all’unità, perché è dell’amore fare unità. Viviamo nell’era dei media, anzi dei new media, strumenti che hanno avuto il grande merito di mettere in comunicazione diretta i più vari angoli del pianeta, offrendo i presupposti per cammini comuni di solidarietà.
Per la Chiesa la comunicazione è sempre stata essenziale per mantenere unite le comunità tra loro e con il cuore della cristianità. Lo testimoniano le lettere di Paolo e degli altri apostoli e, poi, via via, l’uso degli altri strumenti che la tecnica metteva a disposizione. Nel tempo non sono certamente mancati gli inviti alla prudenza, ad aver capacità di discernimento, ma nell’insieme la valutazione è stata positiva. Così, oltre all’utilizzo della stampa come strumento di evangelizzazione, ora il nuovo areopago costituito dai new media è utilizzato sia dalla Santa Sede che dalle comunità parrocchiali, religiose, quelle fiorite dai carismi.
Chiara ha sempre avuto la “passione” per la comunicazione. Lei stessa, grande comunicatrice, ha utilizzato ogni mezzo per diffondere il carisma che Dio le aveva donato: dalle lettere dei primi tempi, scritte su occasionali pezzi di carta, a quelle scritte a macchina e poi ciclostilate, all’uso dei magnetofoni, dei collegamenti telefonici planetari, di internet.
Il suo carisma sintetizzato nella parola “unità”, ha sempre avuto la necessità di strumenti adeguati per lavorare alla sua diffusione. Quindi l’uso dei media fatto da lei personalmente e, poi, da tutto il Movimento, ha una precisa finalità: portare l’unità, far progredire il cammino verso il mondo unito, formare persone “a dimensioni mondiali” o, con l’espressivo linguaggio di Chiara, formare in ognuno “l’uomo-mondo”.
Così, quest’ultimo aspetto che può essere espresso anche con la parola unità, in certo qual senso racchiude ed esprime anche tutti gli altri, perché ogni aspetto, ognuna delle parole-chiave che abbiamo utilizzato, è finalizzato all’unità, quindi a contribuire a realizzare, con la specificità che le è propria, il testamento di Gesù.

Uno sguardo d’insieme

Coi sette aspetti ci troviamo di fronte a un modello organizzativo dove tutto nasce dall’amore e tutto punta a far crescere l’amore. L’amore è quindi l’elemento unificante di questo disegno globale di organizzazione dove si intrecciano ordine, creatività, libertà, armonia.
Questo è un modello dinamico, porta in sé una dinamica “alla Trinità”. Infatti i singoli aspetti non vanno visti isolatamente, ma, “alla Trinità” dove coesistono unità e distinzione: ognuna delle singole parti ha la propria identità, le proprie caratteristiche, il proprio metodo, ma esse formano un disegno unitario, armonioso.
Inoltre, quello dei sette aspetti è un modello organizzativo che non frammenta la vita della persona in momenti staccati l’uno dall’altro, divisi nei vari momenti della giornata, ma porta a vivere una sorta di unificazione interiore ed esteriore. Si vive una cosa sola: l’amore, nelle sue diverse espressioni: si è amore quando si lavora, quando si spende, quando ci si rapporta con gli altri, quando si prega, quando si soffre, quando si mangia o si dorme, quando si sta in famiglia o con altri, quando si studia e si pensa, quando si comunica.
Infine, non c’è più separazione, frammentazione fra vita pubblica e privata, non più contrasto tra relazioni anonime o amicali o familiari, il tutto è unificato dal vedere tutti come “candidati all’unità” e ogni società come “possibilità di mondo unito”.

FONTE: UNITÀ E CARISMI

[1] C. Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori, Milano 2001, pp. 220-222.
[2] Ibid.
[3] Per questa impostazione sono debitrice a H. Heinz, Lineamenti della civiltà europea per la nostra epoca. Un contributo del Movimento dei focolari, in Nuova Umanità 74 (1991) 95-123.
[4] Cf. C. Lubich, op.cit., p. 79.
[5] Id., Io prego così, in Città Nuova 19 (1996) 35.

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