Tutti i contatti che abbiamo ogni giorno con la gran parte dei pazienti, soprattutto quelli che soffrono di malattie gravi (grave inteso non solo dal punto di vista della prognosi per la vita, ma anche di una malattia cronica invalidante o che provoca sofferenza), possono risultare fondamentali nella formazione professionale di un medico. Il rapporto con questi pazienti spesso si realizza su di un piano psicologico molto delicato perché il malato vede nel medico la persona che può aiutarlo e in lui ripone fiducia e aspettative per il proprio futuro.
Il medico ha l’ingrato compito di non ingannare il paziente e, nello stesso tempo, di non deludere le sue aspettative vanificando le speranze di guarigione. Da questo delicato intreccio psicologico il medico raccoglie sulla sua persona la fragilità dell’uomo debole e, spesso, si sente lui stesso un po’ più debole nei confronti della malattia ma nello stesso tempo trova la forza per proporre al paziente ed a se stesso un più vigoroso stimolo al percorso terapeutico.
L’arte di relazionarsi è un dono individuale, spesso espressione delle esperienze trascorse e della capacità di interiorizzarle. Molto spesso non si impara questa “arte”, che viene fuori spontaneamente quale frutto dell’accettazione della presenza di un altro uomo con tutti i suoi problemi. Nella mia vita non ho seguito un percorso scientifico rigoroso per imparare a relazionarmi con gli altri; tuttavia sono certo che sia possibile ricorrere alla esperienza di bravi psicologi per evitare di sbagliare nel rapporto con pazienti particolarmente delicati e complessi. Per quanto mi riguarda non posso considerare quale paradigmatico un singolo caso, ma posso senz’altro affermare che la mia interazione con i pazienti è il risultato di un intero percorso di vita professionale ed emozionale.
di L. ALDO FERRARA
La relazione: L'essenza dell'arte medica
i medici si raccontano