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Carenza di risorse destinate alla sanità, ineguale disponibilità dei servizi, percezione da parte del pubblico di una progressiva disumanizzazione dell’assistenza: sono sfide

Essere medico, essere donoCome medico, mi sono chiesto quale fosse il “cuore” di questa mia scelta e, avendo avuto una scuola personale di esempi tutti dediti al servizio, mi sono reso conto del “dono” che posso essere per gli altri.Il dono è quello di fare qualcosa di vero, di sentirsi utile, di essere mezzo per lenire la sofferenza, di dare sollievo a chi vive la “condizione” del dolore fisico, psicologico, in definitiva di mettere a disposizione degli altri i migliori anni e...

il contatto con il pazienteHo ricevuto questo invito a scrivere un breve elaborato per gli atti del congresso “Comunicazione e relazionalità in medicina: nuove prospettive per l’agire medico”.Devo riconoscere che la richiesta mi ha lasciato alquanto perplesso.In genere, sono solito badare più alle cose pratiche e pragmatiche, almeno nell’ambito dell’oncologia, che alle disquisizioni teoriche. Ho messo il tutto nel cassetto. Però un piccolo tarlo continuava ad agire, soprattutto per l’amichevole rapporto con la collega che mi aveva invitato.Così ho deciso di mettermi davanti al foglio bianco e vedere cosa succedeva. Ho scoperto che mi è molto più facile scrivere un lavoro scientifico o una relazione clinica. 

Formazione e universitàDevo innanzitutto premettere che, sin dalla mia prima decisione di affrontare la carriera medica, decisione sofferta perché inscritta in una tradizionale familiare alla quale volevo con determinazione sottrarmi, ho considerato la mia attività, professionale prima e dopo scientifica, funzionale a un percorso di servizio alla società, alla comunità dei lavoratori e al cittadino. Dunque ho sempre evitato il riferimento a considerazioni che ritengo viete e scontate come quelle della “missione” e dell’abnegazione al malato.

La formazione del chirurgo tra umanesimo e tecnologiaTra umanesimo e tecnologia. Nel mio lavoro sono stato sempre particolarmente attratto dal reparto e dalla sala operatoria. Come un tempo la “bottega”, era il luogo dove gli allievi guardavano lavorare i Maestri e imparavano i segreti del mestiere, così il reparto e la sala operatoria sono la “bottega” del chirurgo: è lì che si impara quello che non si trova sui libri.

Il dolore innocenteQuasi quotidianamente mi trovo in situazioni in cui ogni logica umana è destinata a saltare per far posto agli interrogativi del mistero. Di fronte a bambini con difetti congeniti gravi, concepiti già ammalati e che si tenta i tutti i modi di non far nascere, intuisco spesso, e non so spiegare a parole, che questo incontro non è fortuito ma carico di significati. I bambini concepiti già ammalati mi si presentano come un grande dono per l’umanità e un occasione unica offerta agli uomini per diventare e dimostrarsi tali. Il dono di questi martiri inermi e innocenti consiste nel farci avvicinare alla vita con ottiche che esulano dal senso comune, ma che allargano gli orizzonti dello spirito.

Relazione e guarigioneTutti i contatti che abbiamo ogni giorno con la gran parte dei pazienti, soprattutto quelli che soffrono di malattie gravi (grave inteso non solo dal punto di vista della prognosi per la vita, ma anche di una malattia cronica invalidante o che provoca sofferenza), possono risultare fondamentali nella formazione professionale di un medico. Il rapporto con questi pazienti spesso si realizza su di un piano psicologico molto delicato perché il malato vede nel medico la persona che può aiutarlo e in lui ripone fiducia e aspettative per il proprio futuro.

Pazienti,osservatori e testimoniDi fratellanza. Il nostro mondo, così teso in modo cieco e sfrenato al profitto e allo sfruttamento degli uomini da parte di altri uomini, ha diffusamente e progressivamente eroso l’affermazione di Chiara Lubich, ovvero il concetto e il sentimento del dono, dell’amore, soprattutto per quanto riguarda i bambini, che sono gli individui ai quali ho fino ad oggi dedicato tutta la mia vita professionale, e non solo.

effetti_pratici_della_comunicazione_in_medicinaGli effetti pratici della comunicazione in Medicina

Chiedersi se la relazione ha un ruolo nel conseguimento degli scopi della medicina presuppone in via preliminare la definizione di tali scopi: che cosa ci proponiamo noi tutti, ciascuno nel suo ruolo, come medici?Una risposta in termini comuni può essere: aiutare le persone a vivere di più e meglio. In altre parole, potremmo dire: ridurre il numero dei decessi prematuri e migliorare la qualità di vita.Per la loro stessa natura, questi obiettivi lasciano spazio ad un continuo miglioramento. Possiamo chiederci in quale misura oggi la medicina riesca a perseguirli.

Il paziente, testimone di amoreForse è limitativo riferire un episodio particolare, in quanto la interrelazione è sempre determinante per la formazione professionale, per cui sarebbe sminuire un po’ questa potenzialità, che è sempre in divenire, notarne uno come particolarmente significativo. Tuttavia, sforzandomi di ricercare più nel bagaglio del cuore che in quello delle memoria e della ragione, mi viene in mente Maria V., anche perché evento legato agli albori della mia professione, e si sa che la memoria è presbite, come (ahimè) i miei occhi, ormai.

il mio rapporto con il malatoMi piacerebbe scrivere che ho sognato fin da bambino di fare il medico. In realtà sono diventato medico per caso.Ricordo ancora il giorno in cui mi recai a salutare la signora Angelina Freda Padrone, preside del liceo di Larino, dopo aver superato gli esami di maturità, e la signora mi chiese quale fosse la mia scelta per il futuro. Non avevo una scelta. Legge, ingegneria, medicina forse…

 

med002Non sono un esperto di comunicazione, né tantomeno di psicologia. Sono medico da 32 anni, con la precisa ed immediata scelta della chirurgia, e dell’università. Ma nella mia esperienza ci sono anche circa 13 anni di medicina di base e 10 anni di guardia medica; quelli risalenti agli inizi della mia professione, quando era necessario mantenersi in qualche modo: allora gli specializzandi non erano retribuiti in alcun modo, anzi…l’ambiente universitario era prodigo di promesse e prospettive, ma estremamente avaro in realizzazioni e risorse economiche.

Educarsi alla relazioneDevo premettere che in pediatria ci troviamo di fronte ad un interlocutore indiretto e cioè al genitore che parla e comunica con il medico al posto del bambino. Questo è vero soprattutto nelle prime fasi della vita in cui la relazione con il bambino passa principalmente dalla mamma. Ricordo, a questo proposito, un colloquio, appena uscito dall’ospedale, durante il quale ho provato una sensazione di frustrazione. Una mamma e una nonna mi hanno espresso le loro difficoltà nell’alimentare un bimbo di circa un anno.

comunione medico_pazienteCome primario patologo dell’Ospedale dei bambini di Milano ho istituito, con atto formale, nel 1960, il “Centro di eubiotica umana”, per realizzare, nell’ambito della nostra medicina tecnologica, una medicina detta naturale, quindi rispettosa delle leggi naturali, considerando l’uomo un ecosistema, fatto di corpo, psiche e spirito. Ipotizzando, di conseguenza, una patologia e una cura ai 3 livelli.

Firenze_la _fraternitàAbbiamo ascoltato dagli interventi precedenti come la fraternità abbia una plausibilità scientifica, oltre che avere origini profondamente radicate nella storia e, soprattutto, nelle religioni ebraica, cristiana, islamica. L’associazione Medicina Dialogo Comunione (MDC) intende offrire il proprio contributo per una medicina fondata sul rispetto dell'uomo nel suo insieme (corporeità, spirito, cultura), con l’obiettivo di sostenere una antropologia medica basata sulla centralità della persona.

Organizzazione, base per l'umanizzazioneLa mia esperienza fa riferimento in particolare agli anni in cui, nell’Ospedale “C. Forlanini” di Roma, sono stato dirigente del Servizio accettazione-astanteria-pronto soccorso pneumologico, dal 1977 al maggio 1984 e Primario della VI Divisione pneumologica (1984-1989), quindi della XIII Divisione pneumologica dal settembre 1989 sino al pensionamento, avvenuto nel 1996. E va inserita in un contesto preciso: la trasformazione della “sanità” in seguito all’applicazione della Legge Mariotti che istitutiva il Servizio Sanitario Nazionale.

specializzazioneLa metodologia della conoscenza in medicina, al giorno d’oggi, si avvale della sempre più spinta e ardita analisi dei fenomeni patologici, e in particolare della sempre più efficiente loro analisi biologica. Si assiste perciò ad un approccio di tipo riduttivo, si suddivide sempre di più l’analisi biologica per meglio descriverla.

Devo innanzitutto premettere che, sin dalla mia prima decisione di affrontare la carriera medica, decisione sofferta perché inscritta in una tradizionale familiare alla quale volevo con determinazione sottrarmi, ho considerato la mia attività, professionale prima e dopo scientifica, funzionale a un percorso di servizio alla società, alla comunità dei lavoratori e al cittadino. Dunque ho sempre evitato il riferimento a considerazioni che ritengo viete e scontate come quelle della “missione” e dell’abnegazione al malato.La cura del malato, secondo la mia concezione che è anche sociologico-politica, è la cura di una parte della società che soffre della malattia del singolo, in termini sociali ed economici. Dunque il rapporto con il paziente è anche rapporto con la società in cui il paziente vive e lavora. In primis la famiglia che deve essere portata all’attenzione del medico come nucleo essenziale della comunicazione clinica. È nell’ambito familiare che il paziente sopporta le sue sofferenze che inevitabilmente di estrinsecano e si riverberano sulla comunità di primaria vicinanza. Se poi si tratta di una patologia trasmissibile o infettiva, tale cura comunicativa assurge a rilievo di primaria importanza. La seconda area di impatto del paziente è con la comunità di lavoro, il collettivo lavorativo, in cui si riversa l’assenza della capacità lavorativa interrotta dalla fase di malattia. A tale comunità si deve anche rivolgere il curante nello sforzo di anticipare termini prognostici e riabilitativi, atti a configurare una nuova programmazione nell’ambito dell’ambiente di lavoro.

vasi comunicantiLe malattie che seguiamo, le leucemie acute, hanno oggi una prognosi piuttosto buona: circa l’80% dei bambini, se adeguatamente trattati, “guarisce”.Il 20% però nonostante tutto oggi non ce la fa e in un periodo più o meno lungo (non superiore ad alcuni mesi) muore. Non è vero che ci si abitua a questa realtà: ogni bambino, se lo accompagni durante il suo cammino di malattia, ha bisogno di te, ma anche tu di lui e vicendevolmente ognuno impara dall’altro. È bella l’immagine dei vasi comunicanti: se dai devi essere però capace e volonteroso anche di ricevere. 

medicina omeopaticaIl ruolo e la prospettiva del medico. Una donna racconta: «Cos’è la malattia? Io sono considerata una persona malata, anzi, malatissima perché affetta da una malattia inguaribile: la policitemia vera. Questo, almeno, è quello che pensa la medicina ufficiale, la stessa che mi ha considerata sana quando invece sentivo di stare male.

Il rapporto medico-paziente e il lavoro in equipe


Mentre la moderna medicina, sempre più basata su metodi scientifici rigorosi (medicina delle evidenze) sta registrando risultati molto positivi in tutte le sue specializzazioni, più che mai si avverte un’insoddisfazione diffusa e crescente da parte di coloro che sono destinati a beneficiare di tali risultati: i pazienti e i loro familiari.

Medicina e TecnologiaLa medicina oggi è “malata” perché si trova di fronte ad un nuovo pericoloso potere: il potere tecnico-scientifico. Stiamo assistendo infatti ad un’evoluzione della medicina che da arte puramente osservativa e descrittiva è divenuta scienza tecnologica, che fonda il suo sapere e i suoi progressi su nuove indagini diagnostiche, sulla biotecnologia, sull’uso dell’informatica, con l’obiettivo di raggiungere traguardi impensabili come l’eliminazione delle malattie e della vecchiaia.

umanità e malattiaLe competenze comunicativo-relazionali del medico e, più in generale, dell’operatore sanitario, stanno assumendo oggi giorno un’importanza rilevante tanto per ascoltare l’altro (persona malata o familiare), comprendendone esigenze e paure, quanto per imparare ad ascoltare se stessi e le proprie emozioni.Le sole conoscenze tecnico-scientifiche, infatti, non sono più sufficienti da sole ad attuare programmi di promozione della salute pubblica né a definire le basi della professionalità medica.

L’arte di relazionarsi, proprio perché è più un’arte che un metodo, può perfezionarsi e affinarsi, ma non può essere insegnata.

L’insegnamento deve essere quello che ognuno può trovare in sé, la sua migliore capacità di relazionarsi e i migliori principi per farlo sono quelli cristiani:
la Carità come virtù dominante (1 Cor 13: «Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!») e il rispetto, cardine dell’amore, verso il prossimo, da applicarsi in ogni forma di contatto con il malato.

I fondamenti del volontariato ospedalieroIn vicinanza del momento in cui è necessario dire: «Ora tocca voi proseguire», vorrei consegnare i fondamenti dell’esperienza, della tradizione e della cultura sia dell’AVO (Associazione Volontari Ospedalieri) che della AFCV (Associazione Fondatori di una nuova Cultura per il Volontariato).È naturale che questo momento sia giunto per diverse ragioni: l’anagrafe che aggrava di giorno in giorno il divario fra ciò che dovrebbe essere fatto e ciò che in concreto si fa,

santità_sconosciuteMi ero specializzato da poco in psichiatria e venni chiamato per una consulenza in un monastero di clausura. Dopo aver visto il da farsi, decisi di seguire più da vicino alcune situazioni che mi avevano presentato e cominciai a frequentare con una certa regolarità la comunità.Un giorno conobbi una strana monaca che viveva per conto suo in un bilocale del monastero stesso. Mi si presentò con un gran sorriso, ma non mi sfuggì qualcosa di “stonato” nei suoi modi e nel suo sguardo.

«Io sono stato creato in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato in dono per me»: bellissime parole, ma come è possibile realizzarle sul piano pratico ed educativo visto l’epoca in cui viviamo?

In un periodo, come l’attuale, in cui dominano la tecnologia da una parte e il ritorno economico dall’altra, puntare esclusivamente sul messaggio etico individuale non può ormai più portare a risultati pienamente soddisfacenti.È indispensabile, invece, trovare le motivazioni giuste per discutere di una “nuova solidarietà” 1. «Nuova» perché oltre ad essere basata sui principi etico-religiosi, sappia anche trovare una giustificazione in comportamenti capaci di ottimizzare l’efficacia e l’efficienza degli interventi assistenziali realizzati non attraverso iniziative singole, ma con la partecipazione di tutta la comunità. È proprio il settore medico-assistenziale in cui risulterebbe particolarmente utile realizzare un’educazione alla solidarietà basata su risultati ottenuti da ricerche di biologia o di medicina clinica. Ad esempio, diversi studi documentano l’efficacia del supporto affettivo sul decorso di malattie comuni come l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale o la malattia di Alzheimer.

La scienza del cuoreEro di turno quella notte.Verso le 23, passando accanto alla stanza di Sergio, paziente terminale per neoplasia polmonare, ero tentato di filar via dritto, “tanto non posso far nulla!”, mi dicevo. Ma fu più forte di me ed entrai: solo ma tranquillo, mi guardò e gli chiesi: «Allora, come va?», ruotò il palmo delle mani, allargò un po’ le braccia e sorrise... di cuore, quasi come per ringraziarmi per quel piccolo gesto inatteso.

Dolore e naturaJohn Zachary Young, uno degli studiosi del cervello più geniali che abbia incontrato, diceva che non ci stupiamo, e possiamo anche dirci d’accordo, se qualcuno ci dice che i muscoli e la macchina a vapore fanno lo stesso lavoro, ma resteremmo davvero molto perplessi se qualcuno dicesse che sia il computer che il cervello pensano.

Ho iniziato la mia carriera professionale di medico in Germania e dopo aver lavorato per quattro anni in una clinica di riabilitazione della Foresta Nera, mi sono trasferito in un ospedale per acuti nella città di Offenburg. Un giorno in terapia intensiva era stato ricoverato un paziente, originario della Germania Orientale, che aveva potuto emigrare in quella Occidentale solo dopo aver raggiunto l’età della pensione; il governo della Repubblica Democratica Tedesca infatti, mentre non permetteva che nessun cittadino in età lavorativa abbandonasse il paese, favoriva l’uscita dei pensionati che ne facevano richiesta, lasciando così che fosse poi la Germania Federale a farsi carico della relativa spesa pensionistica.

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