Quale contributo possono dare ad un fenomeno così complesso i professionisti della salute?
Una sfida che parte da Scampia, Napoli
Rispondere alle trasformazioni sociali che generano crescenti diseguaglianze è una vera priorità per chi si occupa di salute pubblica; ma quale contributo possono dare ad un fenomeno così complesso i professionisti della salute?
È la domanda a cui provano a rispondere gli oltre 80 operatori sanitari ed amministratori pubblici che si sono incontrati il 10 e 11 ottobre nella Sala Convegni del Distretto Sanitario di Scampia, Napoli. Nella cornice delicata e densa di vitalità della periferia partenopea, il dialogo aiuta a riscoprirsi capaci di concorrere al benessere dei cittadini ed al progresso sociale.
Un profilo dell’operatore sanitario al passo con i tempi è delineato da Teodoro Marotta, internista, che lavora proprio a Scampia: per esercitare appieno la sua professionalità, un medico – come pure un biologo, un infermiere, ecc. − non può più accontentarsi delle sole competenze tecniche, ma deve essere costruttore di relazioni umane dense di significato, sia con i pazienti, sia con le altre figure professionali che compongono l’universo sanitario. È una concezione della professionalità che investe anche il mondo della ricerca scientifica, ha affermato Marcello Mancini, dirigente del CNR; e che va trasmessa ai giovani con l’esempio e vivendo giorno per giorno al loro fianco, come hanno testimoniato i docenti universitari Aldo Ferrara, Liberato Berrino e Fulvio Freda.
Certo, le sfide sono tante: a cominciare dalle difficoltà, messe in evidenza anche dal contributo di chi scrive, di un sistema sempre meno capace di garantire a tutti lo stesso livello di salute e le stesse opportunità. Tagli, vincoli e programmazione basata sulla sostenibilità finanziaria hanno prodotto, paradossalmente, un sistema più complesso, meno equo e più costoso, che mette ai margini proprio le fasce più deboli della popolazione.
Come ricordato da Flavia Caretta, geriatra del Policlinico Gemelli, ad oggi esiste ancora un enorme divario tra la qualità dell’assistenza medica erogata nei vari contesti, che fa sì che i benefici derivanti dai successi scientifici non siano distribuiti in modo omogeneo, neanche all’interno della stessa nazione.
La partita fondamentale è quella che si gioca sul piano dell’assistenza alla persona: Alberto Marsilio, medico di famiglia e geriatra di Mirano (VE), ha ricordato come il progredire della scienza medica, prolungando la sopravvivenza, aumenti il numero di persone anziane e vulnerabili, spesso affette da patologie complesse; ai professionisti è chiesto con forza di rimettere al centro il valore della fiducia reciproca e dell’alleanza terapeutica nella conduzione dell’assistenza alla fine della vita.
Fragilità e diseguaglianze, dunque, rappresentano il terreno nel quale si gioca la sfida della promozione della salute. Ma le risposte non vanno cercate nei modelli, a volte astratti, di linee-guida e sistemi di gestione. Ci pensa Beniamino Picciano, il direttore responsabile del distretto, a rimettere al centro della discussione gli operatori e le loro risorse fondamentali. Il suo è un vivace invito a credere nel sogno, a scommettere sul sistema, a non gettare la spugna. In questi tempi di abissale distanza fra la gente e le istituzioni, sentirlo parlare è una lezione forte: c’è ancora la possibilità di avere fiducia nelle politiche sanitarie, capaci di investimenti coraggiosi sul territorio e sui professionisti.
E forse è questa, all’apertura del secondo giorno dei lavori, la prima e più importante lezione di Scampia, che colgo nelle parole appassionate di Elena De Rosa, psicologa della Direzione Sanitaria del distretto, che la gente del quartiere chiama con affetto “il palazzone”: è la voglia di esserci, di offrire opportunità e risposte rapide al bisogno che nasce sul territorio e che qui, fra i palazzi e i viali che si intravedono dalle vetrate, deve trovare soluzioni efficaci.
La carta da giocare è quella della professionalità, come ricorda Tommaso Montini, pediatra di famiglia dell’Asl Napoli 1. Ci parla della presa in carico, elemento centrale dello sviluppo del bambino, da cui trarre anche una lezione per il suo mestiere, che è anzitutto un gioco di rapporti: nel suo intervento c’è un forte invito per tutti i colleghi, quello di recuperare lo spazio e il tempo della propria umanità, puntando ad una concreta presa in carico relazionale e alla capacità di inserirsi quotidianamente nella realtà delle persone.
Lo stesso invito lo propone Riccardo Bosi, pediatra di Roma, che collabora con l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti. La sua esperienza si colloca negli ambulatori territoriali per minori ad alto rischio di esclusione sociale (migranti, stranieri e Rom), dove si toccano con mano gli effetti della marginalizzazione sociale e delle carenze culturali. La parola chiave della “vulnerabilità” mette in crisi il nostro agire sanitario, ma ci apre all’opportunità di un cambio di paradigma. Occorre imparare a lavorare in una logica di rete, intesa come strumento che completa il lavoro dei singoli operatori e li mette in dialogo: il sanitario diviene così un “mediatore di relazioni”, al centro di un sistema capace di andare oltre il concetto di gestione dell’emergenza, impedendo ai pazienti più fragili di scivolare nell’ombra e di divenire irraggiungibili per i mezzi di tutela della salute che ci sforziamo di sviluppare.
Un dialogo, quindi, che appare efficace soltanto quando fondato su una vera relazionalità e su una solida reciprocità. Ed è ancora Flavia Caretta che prova a tratteggiare un modello, quella della fraternità, come nuovo paradigma per i professionisti: che a volte sembrano incentrati sulla struttura più che sulle persone, per le quali la struttura stessa è stata creata. Così il dialogo ha portato ad una consapevolezza nuova: che sia la relazione a tessere i rapporti di cura e consente di non dimenticare mai il valore umano della persona.
Alla fine, nella grande sala del “palazzone” c’è un clima disteso e un ottimismo contagioso. Non sembra più impossibile, persino, pensare di modificare l’assetto organizzativo del sistema: perché anche questo livello, come tutti gli altri, è composto di professionisti in relazione.
Se siamo capaci di riscoprirci tutti come esseri umani, di fronte ad altri esseri umani, allora veramente cambiare è possibile.