La persona in relazione: quale modello di riferimento?Riflettere sulla persona ci porta ad assumere un atteggiamento intellettuale di grande rispetto, perché ci troviamo dinnanzi ad una realtà avvolta in qualche modo nel “mistero” e che può essere considerata e compresa da molteplici prospettive: teologica, filosofica, etica, psicologica e via dicendo.Le mie riflessioni sono solo spunti per contribuire ad un approfondimento a cui tutti siamo invitati e incoraggiati.

Persona vuol dire individuo razionale fondato su:

  • una relazione con l’Assoluto;
  • con l’altro uomo che diventa prossimo perché simile in umanità, uguale in valore e degno di essere amato;
  • con il cosmo. E’ allora, dal profondo della persona che fiorisce la socialità, come essenza ed esigenza, come prassi del vivere insieme con gli altri esseri umani in una rete di rapporti reciproci. La socialità o il sociale non è dunque fuori di noi, ma in noi ed emerge per incontrare l’altro, pure lui dotato di socialità.

Dire persona, dunque, significa dire essere-con gli altri, vuol dire in definitiva essere-in-relazione. La persona reca in sé una spinta esistenziale verso i suoi simili. Essa è un nodo di bisogni, pulsioni, tendenze, desideri, aspirazioni, che formano un insieme organico, articolato e dinamico, fondamentale per la vita di ognuno.

E’ dunque la relazione ciò che fa dell’individuo isolato una persona, che lo libera dalla propria “scatola chiusa” verso un orizzonte aperto e pieno di senso, che rompe e spezza l’individualità chiusa e la conduce fuori dell’io, per ritrovarlo nell’altro.

Voglio dire che la categoria “individuo” può risultare assai povera, astratta e chiusa, mentre l’idea di “persona” appare ricca di identità, di carica valoriale e soprattutto di relazioni societarie e comunitarie, in una parola, ricca di storia.

Due sociologi di grande valore, esponenti della famosa Scuola di Francoforte, in una serie di lezioni tenute in quell’Istituto, affermano:

“Affermando che la vita umana è essenzialmente e non solo casualmente convivenza si rimette in questione il concetto di individuo come attore sociale ultimo. Se nel fondamento stesso del suo esistere l’uomo è attraverso altri, che sono i suoi simili, e solo per essi è ciò che è, allora la sua definizione ultima non è quella di una originaria indivisibilità e singolarità, ma piuttosto quella di una necessaria partecipazione e comunicazione agli altri. Prima di essere – anche – individuo, l’uomo è uno dei simili, si rapporta ad altri prima di riferirsi esplicitamente a se stesso, è un momento delle relazioni in cui vive prima di poter giungere eventualmente ad autodeterminarsi. Tutto ciò viene espresso nel concetto di persona…” [1]

Le persone compongono la relazione che, a sua volta, le avvolge, le comprende, le contiene, le trasforma condizionandole dall’esterno e stimolandole dall’interno. La relazione allora diventa una realtà fra i due o più, nata e alimentata dal loro essere e dal loro agire e, a sua volta, alimenta il loro essere e il loro agire, li aiuta a crescere e maturare in un dato modo e con una crescente profondità di vita.

Forse, arrivati a questo punto, conviene tentare di definire meglio la relazione e le sue modalità.

Lo farò più da sociologa che da antropologa. E dunque sposto la mia attenzione dalla persona alla società e prediligo l’immersione nelle relazioni sociali, oggetto stesso della sociologia.

Georg Simmel (1858-1918), il grande sociologo tedesco, si fregia del titolo di sociologo della relazione.

Per lui la società è relazione, “essa – scrive – esiste là dove più individui entrano in azione reciproca. Quest’azione reciproca sorge sempre da determinati impulsi o in vista di determinati scopi”. Per Simmel l’azione reciproca di individui separati non costituisce un sociale se non nasce un’unità tra le parti.

Si può capire allora perché il sociologo tedesco individui nel sentimento di gratitudine uno dei collanti più forti della società e – secondo lui –, se venisse a mancare, la società si sfalderebbe. La gratitudine sarebbe quel filo che ci tiene uniti.

Passando dai classici ai contemporanei, si può addirittura parlare di svolta relazionale.

La relazione “è la categoria fondamentale dell’essere e dell’agire della società, in quanto si intende quest’ultima come campo delle relazioni intersoggettive e strutturali di comunicazione in tutte le sue possibili forme” [2].

La centralità della relazione porta a definire l’uomo come “essere relazionale per eccellenza” oppure “sospendete la relazione-con-l’altro e avrete sospeso la relazione-con-il-sé”. Di conseguenza la società praticamente non esiste se non “in relazione” [3].

La società in cui viviamo non è molto generosa nell’attribuire alle relazioni un posto di rilievo. E’ abbastanza usuale il riferimento ad un individualismo convinto. Si punta molto, se non tutto, sull’affermazione dell’io, della propria identità, sul possesso di una personalità forte e, su questo sentiero, si giunge alla ricerca del successo personale, della carriera, del possesso dei beni materiali e no.

A me sembra che la vita sociale, la vita relazionale sia più subita che desiderata, più organizzata che ricercata liberamente. Ne è prova la crisi che investe la società civile nelle sue articolazioni relazionali: la famiglia, la scuola, le istituzioni culturali. Per cui quando si parla delle relazioni è per enfatizzare la presenza, se non la necessità, di relazioni competitive, concorrenziali, antagonistiche, conflittuali, addirittura contrapposte e litigiose. Per non dire delle relazioni negate, rotte, spezzate, lacerate, scompaginate, tradite.

Ci sono i teorici di questo tipo di relazioni; costoro accentuano l’esistenza del conflitto – che non si può negare – come l’ottimo per una vita sociale dinamica e creativa.

Si sente il bisogno di una cultura della relazione. In altre parole, bisogna spendere risorse e impegno in una attività di educazione, di formazione alla relazione. Il che implica anche uno sforzo di conoscenza, di approfondimento della relazione stessa nelle sue dinamiche e modalità. Allora saremo più capaci e più in grado di apprezzare gli effetti, i prodotti delle relazioni costruite e vissute. E davanti alle scelte che siamo sempre più spesso chiamati a fare, tra avere delle cose e costruire relazioni, forse la decisione sarebbe più facile.

Vorrei indicare alcune dinamiche relazionali che mi sembrano indispensabili per costruire relazioni significative e piene di senso.

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