Non essendo questo il tema specifico della nostra considerazione, torniamo alla casistica più diffusa, quella  del comune paziente che non fa quello che gli si prescrive. Se vogliamo aver cura del nostro paziente, non possiamo non preoccuparci che esegua la terapia, perché siamo convinti che è per il suo bene. Come migliorare l’osservanza? Ebbene, si è appurato che non servono tanto le campagne di sensibilizzazione e di educazione (vedete un po’ il successo delle scritte funeree sui pacchetti di sigarette: nemmeno in un ambito tendenzialmente scaramantico e con grande attenzione agli iellatori , quale il nostro, riescono ad avere successo…); invece si è dimostrato che l’osservanza migliora se la cura è continuativa da parte dello stesso medico, il quale deve manifestare ed infondere fiducia nella terapia somministrata, che deve essere semplice, chiara, schematica; occorre prevenire i dubbi dati per es. dalla lettura dei foglietti illustrativi. La pluriprescrizione è un rischio enorme, se non accompagnata e sussidiata per esempio da tabelle orarie che abbiano dei precisi riferimenti (prima e dopo i pasti, ad es.).

Ma la cosa che ci interessa di più, qui, è questa: si è appurato che la capacità e la volontà del malato di seguire le prescrizioni dipendono notevolmente, se non esclusivamente, dal tipo di rapporto umano che si è istituito col medico, cioè da quell’empatia di cui si diceva . La trasformazione del tradizionale rapporto fiduciario medico-malato in rapporto contrattuale ( in cui  il malato è un utente ed il medico un prestatore d’opera) ha influenzato negativamente la collaborazione del malato ed ha aumentato la prevalenza della inosservanza . Occorre ritornare ai modelli di fiducia reciproca, si diceva, e allora noi medici se vogliamo aver cura dei nostri pazienti, ci dobbiamo prefiggere soprattutto una valida comunicazione, che parte soprattutto dall’ascolto, anche guidato, cioè fatto di domande pertinenti; prosegue con la spiegazione, l’informazione, la persuasione. Si apre un dialogo, indispensabile. [power point: “Parla con me”] Si stabilisce un’alleanza salutare, che dà salute.

Ma qui veniamo alle dolenti note: abbiamo il tempo, l’organizzazione, la disponibilità, per dare ad ogni nostro paziente quanto gli è dovuto? Il tempo: ogni minuto che dedichiamo ad una persona è un minuto che sottraiamo ad un’altra; e sappiamo bene quanto sull’inosservanza o sul non rivolgersi ai medici influiscano le lunghe attese; inoltre, dobbiamo riconoscere i nostri limiti: quanto riusciamo ad essere lucidi e attenti dopo una sola ora? Io credo che il limite massimo di attenzione non superi i 10 minuti, e per questo credo di stare abusando di voi. Per questi motivi è indispensabile l’organizzazione. La nostra cura per l’altro non può prescindere dal tentare di trovare i modi per diminuire i disagi delle attese e per dare la giusta sensazione di accoglienza a tutti; mi  spiego con degli esempi: l’avvento del computer certo ci aiuta in questo, fornendoci la possibilità di memoria praticamente infinita, il che ci fa guadagnare notevolmente tempo e spazio per un colloquio successivo; il ricevere per appuntamento, cercando ovviamente di rispettarlo, aiuta notevolmente la qualità del nostro lavoro; nonché utilizzare al meglio la collaborazione dei tirocinanti: per sei mesi all’anno i medici di base che vogliono possono avere la presenza di un collega che deve espletare tirocinio obbligatorio per l’esame di stato:  a loro si può demandare una parte del lavoro più routinario, come la prosecuzione di prescrizioni, le richieste, le impegnative. Sono solo degli esempi per dimostrare quanto ognuno di noi ha a disposizione, e magari scambiando le idee e le proposte con i colleghi, si scoprono sempre più possibilità; è questa è un’altra risorsa: la condivisione con gli altri colleghi, un altro passo in quell’alleanza salutare di cui si diceva.

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