Alla fine di ogni terapia ho preso la buona abitudine di chiedere alle persone una sintesi scritta di come sia andato il percorso per loro,
questo aiuta a fare un bilancio finale, a consapevolizzare e custodire preziosamente le conquiste realizzate. Oggi, è la storia di un giovane che diventa uomo, di una persona che si sentiva sopraffatta dall’ansia e che si rifugiava nelle dipendenze di vario genere, che non riusciva a trovare il suo posto nel mondo. Lascio fluire adesso le sue parole, perché sono più belle di qualsiasi tecnicismo che potrei raccontare, perché abbiamo fatto una terapia del piacere che ha funzionato, perché ritrovando se stesso ha costruito la sua “casa” interna.
«Sembra essere passata un’eternità dalla mia prima seduta. Non perché sia davvero trascorsa un’eternità, ma perché mi immagino che un’eternità è il tempo che un osservatore esterno probabilmente riterrebbe necessario a passare dall’essere il me stesso di quella prima seduta al me stesso di oggi. All’epoca l’incertezza la faceva da padrona, dal punto di vista lavorativo, relazionale, personale e sentimentale. Era un vortice che girava talmente velocemente che era impossibile distinguere i sintomi dalle loro cause più profonde, in un caotico sobbalzare da una fonte di ansia all’altra.
La famiglia sembrava essere l’unico punto fermo, nonostante il senso di frustrazione dovuto all’impossibilità di distaccarmi dalla casa dei miei genitori, nonché ad una dinamica che mi vedeva succube dei loro bisogni o sfoghi. Si è partiti iniziando a remare contro la tempesta, tappando i buchi di seduta in seduta: dal districarmi meglio nel mondo del lavoro, all’aggiustamento del tiro su varie sfide relazionali e sentimentali – un po’ come io, alla deriva, tappavo i buchi delle mie mancanze tramite sfoghi carnali e vari altri vizi inconcludenti.
Contemporaneamente, lentamente mi distacco dal nucleo familiare inizialmente solo logistico, che mi porta per la prima volta a vivere indipendentemente. Gradualmente, come in un puzzle, iniziano ad emergere dei punti fermi in comune a tutti gli ambiti: la gestione dell’ansia, dei confini, il senso di sudditanza alle aspettative dei miei genitori, specialmente mio padre, che “accontento” portando avanti un lavoro simile al suo, inizialmente seguito da lui.
Nasce in me la necessità di sviluppare una centratura solida, che permetta di raggiungere un equilibrio tra i bisogni dell’io “bambino”, perennemente insoddisfatto per via della costrizione dovuta a bisogni altrui, e i doveri dell’io “genitore”, che innalza il suo megafono a seguito di ogni periodo di inattività, tramite la mediazione dell’io adulto. Sempre a piccoli passi, con vari pezzi che formano un quadro più grande, senza bisogno di andare a toccare direttamente l’ambito della dipendenza in varie forme.
Una maggiore assertività mi permette di mettere i confini e priorizzare i miei bisogni in ambito sociale e familiare, scegliendo in maniera coscienziosa quello che mi arricchisce davvero, le mie passioni, che metto al primo posto. Arricchendomi sempre di più, raggiungo un equilibrio tra dovere e piacere, senza sbalzi di estrema attivazione tramite dipendenze di vario tipo alternati a periodi di rifiuto dell’ambito lavorativo (che causavano ansia e senso di colpa).
Provo un grande senso di gratitudine, non solo perché mi sembrava irraggiungibile, ma per aver coltivato la consapevolezza che passetto dopo passetto è possibile tutto, basta andare avanti e non mollare. Questo è il regalo più bello che mi porto dietro, perché so già che mi permetterà di continuare a migliorare me stesso e le mie circostanze, da qui alla fine dei miei giorni. Grazie!».
La gratitudine è anche mia, perché la fiducia costruisce e crea una relazione di scambio, perché stando accanto sono cresciuta anch’io, e credo che possano essere parole di speranza per chi desidera vivere e non sopravvivere!
FONTE: CITTÀ NUOVA