Elena era una neonata di 4 giorni in condizioni ormai gravissime per le conseguenze di un fatto acuto imprevedibile.
Quando si è capito che non c’erano prospettive di miglioramento, per me è stato molto importante condividere con i genitori la decisione di non proseguire cure intensive che non avrebbero condotto a nulla e la necessità invece di somministrare una terapia antalgica efficace. I neonati sono infatti pazienti che non esprimono il dolore chiaramente, ma non possiamo dimenticare questo aspetto.
La sera in cui appariva ormai chiaro che Elena ci avrebbe lasciato, ho fatto un breve incontro con le infermiere di turno con me ed abbiamo deciso di attrezzare un angolo della Terapia Intensiva in modo da dare un po’ di privacy ai genitori che hanno scelto di esserle accanto fino alla fine.
Abbiamo permesso loro di tenerla in braccio, nonostante i circuiti del respiratore, e la bambina è cosi potuta partire circondata dall’amore dei suoi e non solo dal rumore dei monitor. Dopo la sua morte, abbiamo eseguito gli accertamenti di rito e tolto tubi e cateteri e quindi chiesto ai genitori se volevano rientrare per rivederla “ricomposta”: loro sono stati felici di poterla rivedere così e si sono fermati con noi un’altra ora. In questo tempo, mi accorgevo di come fosse per loro importante che io fossi lì presente, anche se non avevo parole da dire.
Chiaramente, il lavoro di routine del reparto è stato in parte interrotto durante questi momenti, ma poi tutta l’equipe si è detta contenta di aver accompagnato Elena in questo modo, anziché fare “finta di niente” come a volte può essere che accada per non essere troppo coinvolti da questi eventi.