I bambini ci chiedono di averdi aver la pazienza nasce dal dare un senso al dolore, alla stanchezza, alla sfiducia che ogni genitore prova, con la sicurezza che da esso nascerà un bene più grande che ci consentirà di aiutare, sostenere e valorizzare i nostri figli nel modo migliore.

 

Giovanni è un bel bambino di 4 anni, lo conosco dalla nascita. Con i genitori ha accompagnato la sorellina di soli 15 giorni. È sereno mentre la visito, guarda con grande attenzione.

All’improvviso dice: «Devo fare la pipì». Quasi contemporaneamente

una larga macchia di umido si allarga sui pantaloni e un piccolo laghetto si forma ai suoi piedi, mentre diviene tutto rosso! Il padre rimane costernato, immobile sulla sedia. La mamma, al contrario, dopo avermi sorriso e fatto un occhiolino, si rivolge al bimbo e con voce tranquilla gli dice: «Giovanni, proprio non ce l’hai fatta a trattenerla! Ma non preoccuparti, queste cose possono succedere ai bimbi grandi quando vogliono tanto bene alla sorellina, vero dottore?».

Francesca ha 5 anni, è figlia unica. Da quando è entrata in ambulatorio tocca tutto quello che trova, mentre i genitori mi dicono ad alta voce che questa figlia è veramente disobbediente, non vuole mangiare, la sera fa tardissimo e la mattina non vuole saperne di svegliarsi per andare a scuola. Mentre parlano, non fanno nulla per contenere la bimba. Quando lei fa cadere un oggetto, il papà lancia un urlo: «Stai ferma, ma insomma!!». La bimba si blocca, corre dalla mamma e inizia a piangere disperata.
Luigi ha 8 anni. È un bimbo silenzioso, in sovrappeso. Parla pochissimo, ha il viso molto serio, interamente concentrato a giocare con l’I-Pad su cui digita a velocità impressionante. La mamma, muovendo le mani di continuo e oscillando sulla sedia, mi dice che non lo capisce più: sta diventando strano, vuole solo mangiare e usare i videogiochi, rifiuta di fare sport, non vuole andare al catechismo!
Tre storie. Tre comportamenti diversi dei genitori.
Tre bambini che richiedono “pazienza” e stanno raccontando sé stessi con un linguaggio non fatto di parole, ma di azioni, che mettono con le spalle al muro.
Adulti preoccupati, esasperati, poco efficaci, scoraggiati, infelici.
Sentire di essere genitori inadeguati, non capire cosa succede al proprio figlio, non sapere cosa fare in quel compito che istintivamente si sente essere il più importante della propria vita, determina pathos, dolore. Tuttavia si può affrontare questo dolore in maniera impaziente e inefficace o, al contrario, con pazienza, tenacia, perseveranza, consapevoli che il dolore di oggi diverrà la base di un bene più grande domani. Così è avvenuto per la prima mamma: ha conservato la pazienza in una situazione imbarazzante. Ha intuito i sentimenti contrastanti del figlio, che vedeva la sorellina al centro dell’attenzione, e ha agito cercando la complicità del pediatra per “convertire” e dare un nome positivo al piccolo disastro: «Possono succedere queste cose ai bimbi grandi quando vogliono tanto bene alla sorellina, vero dottore?». Dalla sua pazienza è nata una piccola magia: l’immediata gara ad asciugare il “laghetto” è stata accompagnata da risate e anche Giovanni ha sorriso.
Il vocabolo pazienza ha la sua origine nel vocabolo pathos, dolore.
Ciascun genitore ha vissuto infinte volte le varie declinazioni del dolore:
stanchezza, sfiducia, scoraggiamento, alzarsi per la terza volta nella notte quando il bimbo piange, non riuscire a calmare il suo pianto, i troppi panni da lavare, l‘ennesimo brutto voto a scuola, l’inappetenza, ecc…
La pazienza nasce dal dare un senso a quel dolore, viverlo con calma, perseverando, fiduciosi che da esso nascerà un bene più grande e duraturo di quello a cui si sta rinunciando, la certezza che dal deserto di oggi nasceranno fiori!
La pazienza diviene allora una lanterna che ci permette di trovare la soluzione, di cogliere i motivi al di là delle apparenze, di avere il tempo per non sbagliare. È il dono che apre le strade alla comprensione “di cosa fare e come”, aiutando a fare sbocciare nel migliore dei modi l’incredibile miracolo di quell’essere nato da noi, ma diverso da noi. Persona unica, irripetibile, difficile, da scoprire, sostenere e valorizzare, con… pazienza.

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Raffaele Arigliani*
*Specialista Pediatra, direttore IMR

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