Mi ero specializzato da poco in psichiatria e venni chiamato per una consulenza in un monastero di clausura. Dopo aver visto il da farsi, decisi di seguire più da vicino alcune situazioni che mi avevano presentato e cominciai a frequentare con una certa regolarità la comunità.Un giorno conobbi una strana monaca che viveva per conto suo in un bilocale del monastero stesso. Mi si presentò con un gran sorriso, ma non mi sfuggì qualcosa di “stonato” nei suoi modi e nel suo sguardo.
Quando poi mi disse di chiamarsi «suor Cenerentola» ebbi un sussulto e, devo confessarlo, una risatina.
La suora era strana ma molto vispa, per cui si accorse immediatamente del mio buonumore fuori luogo… cambiò immediatamente atteggiamento e alterando il tono della voce mi redarguì severamente. Quando riuscii a togliermi da quell’imbarazzo entrai in parlatorio e, esterrefatto, chiesi alla badessa chi mai fosse quello strano personaggio.
La suora era stata per un certo tempo una loro novizia, ma non potendo contenere le sue continue esternazioni, si videro costrette a lasciarla andare. Si presentò subito però un grave problema umano: quando, quasi cinquantenne, si presentò al monastero, all’insaputa delle monache aveva venduto casa, svuotato il conto corrente e regalato ogni suo avere a poveri, missionari ed enti caritativi. Le monache scoprirono il giorno della dimissione che la poveretta in realtà non aveva più una casa né alcun bene materiale con cui sostenersi. Cominciò allora una lunga peregrinazione per vari monasteri alla ricerca della comunità più adeguata alle sue aspettative. In genere le esperienze si concludevano dopo poche settimane sempre per gli stessi motivi. Dopo aver girato una decina di conventi, nessuno era più disposto ad aprirle le porte, per cui dovette “tornare a Canossa”. Ma la comunità non poteva più accoglierla al suo interno. L’arcivescovo ebbe allora la felice idea di suggerirle una sorta di eremitaggio: sarebbe vissuta accanto al monastero, avrebbe pregato con le monache dalla chiesa esterna, prendendo i pasti in solitudine e offrendo qualche servizio come monaca esterna. Non avendo altre opportunità accettò e si stabilì nel bilocale.
Nonostante la separazione riusciva ugualmente a relazionarsi con le monache grazie all’ampia grata della chiesa, dalla quale non perdeva occasione per apostrofare eventuali distrazioni o ritardi delle monache al di là della barriera… anche dall’esterno seppe creare svariate situazioni imbarazzanti, specie nelle solennità, quando la chiesetta si riempiva di fedeli… Pensando di darle un certo contenimento fu ammessa alla professione triennale come eremita diocesana. Durante la cerimonia palesò la sua chiara volontà: «Voglio chiamarmi suor Cenerentola di Gesù». Sua Eccellenza, colpito come tutti da quel nome inaspettato, fece buon viso a cattiva sorte e, prima che succedesse qualche altra bizzarria, accettò il nuovo nome, fra il mormorio delle suore e dei fedeli.
Ma quel nome divenne ben presto un’arma da sfoderare ad ogni piè sospinto contro le perfide sorellastre che non l’avevano accolta in comunità. Allo scadere del primo triennio di professione si rivelò anche il suo punto debole: temendo di non essere accettata per il rinnovo dei voti divenne umile e remissiva per tutto il tempo necessario fino ad arrivare al fatidico rinnovo. Il vescovo capì che l’incertezza del rinnovo poteva funzionare a sedare i “bollori” della suora, per cui stabilì che non avrebbe emesso la professione solenne.
Quando la conobbi era quasi allo scadere del terzo triennio, ma la scadenza era ancora troppo lontana per tenerla buona… comunque rinnovò la sua professione. Negli anni successivi la trovavo sempre ad attendermi nelle mie visite settimanali al monastero, e ogni volta prendeva sempre più confidenza. Mi accorsi che nonostante le stranezze aveva un grande amore per la penitenza (che cercava poi di far fare a tutti) e avvertiva un incessante bisogno di pregare. Il nostro rapporto stava prendendo una piega decisamente spirituale. Disgraziatamente un giorno trovò intrappolata tra il parabrezza e il tergicristallo della mia auto una zampetta d’uccellino chissà come finita là. Montò su tutte le furie e mi denunciò alla LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli), cui era iscritta, convinta che avessi appositamente strappato la zampa al povero volatile proprio per farle dispetto. Tutto si risolse in una bolla di sapone. Cominciai anch’io ad essere più diretto con lei, e forse anche un po’ meno gentile. Ma mi accorsi che nonostante cercasse tutti i pretesti per discutere con me, in realtà mi aspettava sempre perché, tutto sommato, ero il suo unico interlocutore.
Allora decisi in un certo senso di ricattarla: volli barattare il tempo che passavo con lei con qualche piccolo compito ascetico, tipo recitare una decina di rosario prima di parlare, cercare di non intervenire con pareri che nessuno le chiedeva, ecc. Incredibilmente mi trovai di fronte ad una scolara docilissima e diligente… I miei “ricatti” crebbero di intensità e di impegno, e lei con grande alacrità cominciò a rimuovere i lati più spinosi del suo carattere. Un giorno mi chiamò la badessa per chiedermi cosa fosse successo a suor Cenerentola, visto che era diventata disciplinata e silenziosa, e non era più riconoscibile! Suor Cenerentola cominciò ad aprirsi e mi svelò le sue presunte locuzioni e visioni; mi fu facile chiederle di non manifestarle mai a nessuno se non a me e al confessore. Ubbidì. In una di queste locuzioni era convinta che Gesù le avesse rivelato che il giorno in cui sarebbe stata ricoverata in ospedale non sarebbe più uscita e sarebbe morta di venerdì proprio nel letto dove qualche anno prima era deceduta suor Concetta, una consorella che aveva assistito sino alla fine. Devo dire che di idee più o meno deliranti ne passavano molte per il suo capo, ma bastava suggerirle di offrire il suo sacrificio al Signore per ottenere silenzio. E così arrivammo di nuovo alla scadenza del triennio. Sembrava andare tutto per il meglio quando un giorno vedendo la badessa intrattenersi con alcuni muratori che stavano riparando il selciato del cortile cominciò a inveire contro quella confidenzialità. Vergogna e imbarazzo per tutti; la Madre turbata da quella scenata in pubblico mi disse che non le sembrava proprio il caso di pensare ad un rinnovo dei voti, che così fu rimandato a data da destinarsi. Io fui più severo con suor Cenerentola e stetti anche qualche settimana senza parlarle… Accusò il colpo e riuscì a chiedere perdono alla Madre.
Un giorno la Madre mi chiamò per dirmi di aver notato uno strano gonfiore al piede destro di suor Cenerentola. Sulle prime lei non voleva che io lo vedessi, ma poi accettò di mostrarmi la gamba. Un enorme edema prendeva tutto l’arto. Pensando ad una patologia vascolare insistetti per un ricovero. Quando suor Cenerentola realizzò che ero veramente intenzionato a ricoverarla mi guardò un po’ smarrita poi mi disse: «Allora sono giunta alla fine?!». Cercai di fare battute sulla sua propensione naturale alla tragedia, ma dopo aver sorriso mi rammentò: «Gesù mi ha detto che quando sarò ricoverata non uscirò più…». Io l’avevo dimenticato e un po’ spazientito le dissi di non badare troppo a certe fisime. Accettò il ricovero, ma prima volle ad ogni costo salutare tutte le suore e chiedere loro perdono.
Fu ricoverata in Medicina, ma poi si accorsero che l’edema era dovuto ad una compressione, quindi venne trasferita in chirurgia per una biopsia. Era un linfoma ormai talmente diffuso che non poteva lasciare che poche settimane di vita, così venne nuovamente trasferita in una Medicina e il caso volle che il letto cui era destinata fosse esattamente lo stesso in cui era morta suor Concetta… Rimasi molto confuso dal precipitarsi delle circostanze e delle coincidenze. Visto che davvero la sua vita era al termine decisi di parlare con la Madre: suor Cenerentola aveva desiderato tanto emettere la professione solenne, e forse quello era il momento giusto, un ultimo regalo che la Provvidenza aveva messo sul suo cammino. Parlammo allora con l’arcivescovo che non ebbe nulla da obiettare e così fissammo il giorno. Alla sera mi recai in ospedale a trovarla e le dissi che l’indomani avrebbe ricevuto un grande regalo. Lì per lì non comprese, ma poi si illuminò: «La Professione solenne!!!», e pianse molto. Al mattino presto con la Madre, la vicaria, il vicario moniale e un mio collega ci recammo al capezzale di suor Cenerentola. Le ricoverate nella stanza parteciparono commosse al rito. Suor Cenerentola emozionantissima pronunciò con grande devozione la formula di fedeltà fino alla morte, e poi cantammo l’Ave Maria. Terminato il semplice rito ringraziò calorosamente con un filo di voce tutti i presenti, poi mi fece cenno di avvicinarmi.
«È stata un’idea tua, vero? ti devo molto… mi hai fatto capire molte cose, e spero che dal Cielo ti potrò ricompensare… ma se permetti anch’io vorrei farti capire una piccola cosa, caro il mio dottore. Ricordati sempre che il Signore non chiama a seguirlo solo le persone intelligenti ed equilibrate, ma anche le povere sceme come me… vedi, io sicuramente ho sbagliato tante cose nella mia vita, ma non ho mai smesso di amarlo, a modo mio, e sono sicurissima di avere sempre fatto tutto quello che la mia povera testa malata mi consentiva di fare, sempre nella più retta intenzione. Non disprezzare mai nessuno, non deridere mai le stramberie di chi vuole amare il Signore. Per colpa dei miei sbagli sono sempre stata allontanata da tutti, come un cane. Era la mia strada, un cammino tutto sui vetri rotti… e io mi sono ferita a più non posso, ma mai un istante ho pensato di tornare indietro, perché credilo, era proprio lui che mi aveva voluta così, un po’ tocca, e non mi ha fatto mai mancare la forza di perseverare. Sii forte anche tu. Ti raccomando ancora: non disprezzare nessuno. Tutti dobbiamo amarlo, chi è più intelligente lo amerà da dotto, chi è più scemo, come l’ho amato io. Adesso vado da lui. Preparati anche tu giorno per giorno. Grazie ancora». E mi baciò le mani.
Da allora ho sempre cercato di mettere in pratica quella sorta di testamento spirituale. Difficile credere che l’amore di Dio passi anche attraverso i meandri dei deliri e delle allucinazioni, eppure…
Visse ancora un paio di settimane. Poi un giovedì sera la Madre mi avvertì che era ormai agonizzante. La vegliai tutta la notte insieme a due monache. Era ancora in grado di capire e pregava con noi muovendo le labbra. Verso la mezzanotte peggiorò molto e alle tre del pomeriggio entrò in coma profondo. Morì all’alba della domenica, ed era la domenica della Trasfigurazione.
di RAFFAELE TALMELLI
La relazione:l'essenza dell'arte medica
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