John Zachary Young, uno degli studiosi del cervello più geniali che abbia incontrato, diceva che non ci stupiamo, e possiamo anche dirci d’accordo, se qualcuno ci dice che i muscoli e la macchina a vapore fanno lo stesso lavoro, ma resteremmo davvero molto perplessi se qualcuno dicesse che sia il computer che il cervello pensano.
Young dirigeva il laboratorio di biologia del sistema nervoso all’University College di Londra e dedicò molto tempo allo studio del comportamento del polipo Octopus, condizionato alla fame e al dolore. Ed è questo che, negli anni cinquanta, osservando e seguendo le sue ricerche, mi appassionò allo studio della percezione del dolore.
Il polipo Octopus è molto intelligente. Viene detto familiarmente “il genio degli abissi”. Per questo Young lo scelse come modello sperimentale per i suoi studi sul cervello. Ma in che cosa consisteva la ricerca sull’Octopus che Young conduceva? Lui stesso ce lo racconta.
«Quando si mostra un granchio ad un polipo appena portato in laboratorio, l’attacco avviene con un notevole ritardo. Alla vista del granchio egli esce dalla sua tana dopo circa 30 secondi In seguito invece gli attacchi diventano più rapidi. Dopo 15 giorni di apprendimento il tempo di attacco passa dai 30 a 1 secondo. È stato dimostrato che si tratta di un vero e proprio processo di apprendimento ad attaccare». Quindi l’animale ha appreso che attaccare è una cosa giusta, qualcosa che gli consente di sopravvivere. Se prima di offrire il granchio al polipo, applichiamo un segnale (ad esempio immergiamo nella vasca una piastrina di forma particolare) il polipo, dopo una serie di esperimenti, esce dalla sua tana appena scorge il segnale e prima di vedere il granchio. Questo si chiama «riflesso condizionato», appunto perché dipende (è condizionato) da un segnale appreso. Possiamo anche dire che il riflesso di attacco si effettua appena il granchio “capisce” che ha, a portata di balzo, il cibo preferito, qualcosa di importanza essenziale per la sua sopravvivenza. Ma “capire” significa “prendere coscienza”. Quindi il polipo ha preso coscienza che attorno a lui vi è qualcosa di assolutamente necessario alla sua sopravvivenza e attacca.
Lo stesso, e in modo assolutamente analogo, avviene per gli eventi dannosi (nocivi) che possono gravemente minacciare la sopravvivenza della creatura. Essi si manifestano come percezione di dolore. Ad esempio il dolore prodotto da un taglio, da una scottatura, da uno schiacciamento, una puntura, un’infezione, un ascesso pervengono, via midollo spinale, al cervello e costituiscono la presa di coscienza di un segnale di pericolo, detto «nocicettivo». Quando il polpo avverte che qualcosa di nocivo può colpirlo, fugge a ripararsi nella sua tana.
Se addormentiamo la coscienza non percepiamo più il dolore. In altri termini non prendiamo coscienza dell’informazione nocicettiva che perviene al cervello. Questo succede ad esempio in anestesia generale (narcosi), ma anche per distrazione, per suggestione (è a tutti noto il fenomeno del placebo in cui anziché la morfina preannunciata, si somministra acqua, e il dolore, nel 50% dei casi, scompare egualmente), per un’emozione violenta e improvvisa, insomma per tutto quello che può attirare in modo consistente l’attenzione dell’individuo e turbare lo stato cosciente.
Quindi lo stato cosciente dell’individuo è di fondamentale importanza nella terapia del dolore. Sappiamo che i due grandi modulatori (regolatori) dello stato cosciente sono gli eventi cognitivi (coscienti) e gli stati emotivi (affettivi). Molto importanti a questo proposito sono gli stimoli e le motivazioni che ci provengono dall’ambiente. Recentemente è stato scientificamente dimostrato che tutto quello che influenza il nostro umore (ossia ci rende di buon umore oppure di cattivo umore) influenza clamorosamente anche la capacità di percepire il dolore (soglia del dolore). Occorre dunque non dimenticare che possiamo modificare grandemente la percezione del dolore in un altro individuo.
Acquista quindi valenza scientifica la riflessione di Chiara Lubich «Io sono stato creato in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato in dono per me». Inoltre, “l’arte del relazionarsi” entra a buon diritto, e con le carte in regola di “presidio scientifico”, nella terapia del dolore.
di MARIO TIENGO
La relazione: l'essenza dell'arte medica
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