Forse meno noto, ma altrettanto efficace, è, invece, l’effetto “nocebo”: una previsione negativa, giusta o sbagliata che sia, e il paziente va in tilt.
Non è qualcosa che incide sullo stato d’animo più o meno incline al buon umore, ma in alcuni casi, certamente un po’ estremi, provoca gravi conseguenze. C’è chi è arrivato persino a morire dopo la diagnosi di un tumore che poi si è rivelato non essere presente.
Ma pensiamo per un attimo anche solo al “bugiardino”, il foglietto illustrativo delle medicine. In genere elenca una serie di effetti collaterali che il più delle volte il paziente comincia a sentire solo dopo aver letto. Un esperimento in tal senso avvenuto a Torino conferma quanto ciò sia vero. Ad un gruppo di volontari viene somministrato un vero antiemicranico e a un altro gruppo un finto farmaco. A tutti vengono spiegati gli effetti collaterali, tra cui nausea e vomito. Ed è quello che prova il 40 per cento delle persone che hanno assunto la medicina finta.
Immaginarsi poi quanto sia importante il momento in cui un medico deve comunicare ad una persona la gravità di una patologia e le previsioni del decorso della malattia.
«I medici devono interrogarsi su come dare cattive notizie ai malati», sostiene Egidio Moja, direttore dell’unità di Psicologia clinica al san Paolo di Milano dove ogni mese organizza incontri di formazione sulla comunicazione in ambito medico.
Una scelta tanto delicata quella del dottore che deve comunicare una diagnosi infausta. Dire tutto o tacere? Dire direttamente al paziente o solo ai familiari? Non è semplice. Ma, secondo Moja, esiste una terza possibilità: «Svelare al paziente quanta verità è pronto a sentire in quel momento. È la strada più difficile, perché presuppone l’ascolto attento del malato». E sappiamo quanto poco spazio e tempo ormai si riservi a quel rapporto medico paziente che non può essere sostituito da nessuna costosissima e avanzata strumentazione.
«La vita di un malato può essere accorciata non solo dagli atti, ma anche dalle parole e dai modi del medico», recita il primo codice etico dell’American medical association del 1847.
E se può essere “accorciata”, potrà anche essere “allungata”, cioè accompagnata fino al suo naturale decorso.
di Vittoria Cipriani
Fonte: Città Nuova