Lavoro nel carcere. Ogni giorno cerco di costruire anche con gli agenti un rapporto di rispetto e amicizia in uno scambio reciproco di idee.
Un giorno uno di loro mi confida un suo grande dolore: la nascita di una figlia down, con una seria malformazione cardiaca.
Lo ascolto bene, e cerco di fare mio il suo dolore, le sue ansie. Gli esprimo la mia ammirazione per come ama la sua bambina e s’impegna ad affrontare la situazione. E lo incoraggio: la vita è sempre un dono e Dio, perché è amore, non ci abbandona.
Ogni giorno gli chiedo notizie. Dopo alcuni giorni mi fa sapere che nella stanza dell’ospedale dove è ricoverata sua figlia, ha conosciuta una giovane mamma con la sua figlioletta pure lei down. E’ disperata: il papà della bambina rifiuta la figlia ed, inoltre, i medici le hanno prospettato di trasferirla per cure in un’altra città. Lei non sa dove appoggiarsi per mancanza di disponibilità economica... ‘Io – continua l’agente – quando compero un panino e una coca per mia moglie, ne compero sempre altrettanto anche per lei. Sento che devo farlo per farle sentire che le sono vicino’.
Procuro al mio amico agente dei numeri di telefono utili, prendo contatti con persone che possono aiutare…
Giorni dopo lui mi confida che come si è sentito sostenuto nel suo dolore, altrettanto vuole fare ora con gli altri.