I dati dell'emergenza da Covid 19 ci dicono molto della pandemia ancora in corso, ma molto sfugge e spesso sono le cose più importanti per le persone, come il dolore provato e le speranze disilluse.

Fra le cose più interessanti ci sono quelle che stanno al confine fra storia e mistero; è il caso ad esempio di Pitagora e dei suoi adepti: la loro storia si inserisce a meraviglia in quell’ambivalente limite del mito, dove poggiano insieme le fondamenta della matematica e della filosofia come ancora oggi le pensiamo.

A parte il famigerato e arcinoto teorema sui triangoli rettangoli, i pitagorici sono conosciuti per il loro motto: “Tutto è numero”. Uno slogan molto efficace, che racchiude uno dei più rilevanti passi in avanti del pensiero umano: l’idea, cioè, che esista un ordine, armonioso e logico, alla base della realtà; che si possano spiegare, con rapporti ordinati e coerenti, tanto le armonie musicali quanto quelle le figure geometriche, nei cieli come in terra.

Oggi di quell’antica intuizione assaggiamo ogni giorno i frutti maturi: dopo generazioni di sviluppo, la cultura scientifica e logico-matematica permea ogni aspetto del nostro pensiero.

Sul monitor del mio computer, mentre scrivo, occhieggia la finestra di un foglio di calcolo; una matrice di duemiladuecentosei righe per diciotto colonne: quasi 40 mila celle piene di numeri, che raccontano la storia dell’epidemia da Sars-Cov-2 nel nostro Paese.

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Se son vere le premesse dell’antico filosofo di Samo, in quei numeri dovremmo trovare tutto: e senz’altro ci sono tutti i morti, i guariti, coloro che ancora lottano. Si vede bene il nostro lungo Paese, che l’epidemia ha nettamente spaccato in due, tanto che si può senz’altro parlare – come mostrano i grafici sottostanti – di più fenomeni epidemici distinti: quanto avviene nelle regioni del nord – e in particolare in Lombardia – è molto diverso dalla diffusione di piccoli cluster facilmente circoscrivibili che si verificano nella maggior parte delle altre regioni italiane. 

I numeri ci aiutano a “decifrare” informazioni utili: la prima è che l’epidemia sta rallentando e questo trend sembra, almeno a livello complessivo del Paese, reggere abbastanza bene al graduale ritorno alla normalità. Il rapporto fra casi e tamponi è ovunque, anche nella Regione più colpita, in continua riduzione (ossia, ci vogliono sempre più tamponi per individuare un nuovo caso, come mostra il grafico).

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Dall’analisi dei dati si vede anche anche la facilità con la quale nuovi focolai possono divampare su scala locale: come dopo un incendio, molti tizzoni ancora covano sotto la cenere e possono facilmente far divampare ancora le fiamme.

Per questo è cruciale che il periodo estivo, il meno favorevole alla sopravvivenza ambientale del virus, sia utilizzato per mettere finalmente a regime la nostra capacità di controllo dei nuovi casi e di sorveglianza del territorio: campagne di screening a tappeto, sorveglianza sanitaria dei contatti, affinamento dei protocolli diagnostici e della presa in carico precoce. Tutti aspetti sui quali il SSN sta lavorando e che sono ben chiari nelle priorità: la speranza è che il potenziamento sia capillare, rapido e di dimensioni adeguate; il timore è che, passata la paura, si rallentino o si interrompano le azioni intraprese.

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La stessa cosa vale per i comportamenti preventivi di base: evitare eccessivo affollamento di mezzi e luoghi chiusi, fare attenzione all’igiene delle mani e ai comportamenti di prevenzione verso gli altri quando si è raffreddati o sintomatici; sono gesti di civiltà e di cura del prossimo che non devono più abbandonarci. Se riusciremo a farli nostri, migliorando il livello del comportamento sociale collettivo, l’epidemia di Covid 19 ci avrà lasciato qualcosa di utile.

Ma c’è un altro un pensiero che si può trarre da questi mesi difficili: ed è qualcosa che non si vede nei grafici e nelle tabelle.

Capire la lezione di quel che non si osserva, di ciò che non è descritto dai numeri. La lunga scia di dolore e di precarietà che ha segnato le vite di tante famiglie: i lutti, la paura del futuro, le difficoltà di ripartire o di arrivare a fine mese. Non ci sono le speranze di lasciarci alle spalle il periodo difficile e riprendere la vita normale, o la necessità di comprendere che non tutto tornerà come prima: nelle equazioni che descrivono le nostre vite è comparso un nuovo parametro, impossibile da ignorare.

Gli equilibri da ricostruire fra i nostri diritti fondamentali, come la libertà di movimento e la sicurezza, il lavoro e la scuola, gli interessi delle piccole comunità e delle grandi aziende, il silenzio assordante del problema dei giovani e dei bambini, che il nostro Paese continua a non saper mettere al centro della riflessione e non è capace di vedere come priorità.

Tutte cose che mal si descrivono con tutti quei parametri il cui suono, se non il significato, ci è diventato familiare: Rt, R0, incidenza, picco, rapporto tamponi/casi. E che non si accordano con il PIL grazie al quale per anni abbiamo creduto, sbagliando, che si potesse riassumere tutto ciò che conta.

Perché in fondo, non me ne voglia Pitagora, ci sono un sacco di cose importanti che non sono numero. 

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