L’Ospedale Chiara Lubich alla periferia di Lubumbashi (nota come capitale del rame), capoluogo del Katanga nel sudest della Repubblica democratica del Congo, “è una concretezza della carità guidata dal carisma dell’unità”. È una delle varie realizzazioni dell’Association pour l’Economie de Communion (Aecom), un’istituzione dell’asbl (associazione senza fini di lucro) Movimento dei Focolari in Congo. https://focolari-aecom-rdcongo.org
La storia di questo ospedale ‒ scrive Angelo Bricca durante un suo recente viaggio in questo Paese – «è una storia che commuove: la precarietà della situazione e la povertà delle risorse hanno attivato la generosità di tanti, formando una catena di solidarietà che ha toccato anche molti di noi!».
Nei primi anni del Focolare a Lubumbaschi ‒ raccontano le focolarine ‒ «abbiamo sempre faticato a trovare una collocazione abitativa stabile. Ogni due, tre anni dovevamo preoccuparci di traslocare con tutto ciò che questo comporta». Per molti popoli dell’Africa, il concetto di affittare dove vivere evoca una situazione passeggera non stabile; “una famiglia senza dimora fissa, non ha radici” si dice. I membri dei Focolari a Lubumbashi hanno avvertito che non si poteva più andare avanti così, hanno quindi pensato di costruire una casa per il focolare. Il primo passo era cominciare a raccogliere fondi per l’acquisto di un terreno, come prima cosa. Vista la situazione di precarietà economica, c’erano molte ragioni per dubitare della possibile realizzazione di questo progetto. Le focolarine ricordano ancora le prime buste che arrivavano, un vero segno della generosità e dei sacrifici. Nel frattempo Anastase Kazembe, imprenditore locale che si era appassionato dell’Economia di Comunione, incontra le focolarine; le sue figlie erano in contatto con loro e un giorno la più piccola gli dice: «Papà, le focolarine non hanno casa, diamo loro la nostra!». Colpito da questa richiesta della figlia, si unisce ad altri nel cercare modi per risolvere la situazione.
«Una circostanza fortuita ci ha fatto individuare un terreno nella periferia della città», raccontano le focolarine, ma non avevano abbastanza risorse per acquistarlo. In quella circostanza padre Angelo Pozzi, religioso salesiano che da tanti anni vive a Lubumbashi, le invitò ad avere più fede. Una preghiera che è continuata per 6 anni.
«Un giorno viene a farci visita un religioso, che aveva ricevuto da un benefattore due assegni: e ce li dona». È una cifra importante, che dà loro fiducia. «Siamo sorprese quando poi viene a trovarci una signora, che con suo marito aveva conosciuto i Focolari in gioventù, e ci porta un’altra somma considerevole. Erano risposte concrete alle nostre preghiere».
Così quel terreno viene acquistato, ma è situato in una località isolata, molto povera, senza alcuna infrastruttura, senz’acqua.
L’idea di costruire un ospedale
Anastase Kazembe contatta un suo amico architetto sudafricano, il quale vedendo il posto consiglia che non si può costruire una bella casa in mezzo a tanta miseria, bisognava invece fare qualcosa per la gente del posto.
L’architetto, non conoscendo il Movimento dei Focolari, ha consultato il nostro sito web e ha letto tutta la storia di Chiara Lubich; poi è tornato dalle focolarine e ha detto: «Chiara Lubich è una donna eccezionale, facciamo un ospedale su questo terreno».
«Dunque non è venuta da noi la proposta dell’ospedale ‒ dicono le focolarine ‒ Anzi! Inizialmente non ci sembrava proprio opportuno, per la complessità del progetto e la successiva difficoltà nella gestione».
Ma le focolarine si rendevano conto che bisognava comunque fare qualche cosa per rispondere ad una domanda concreta della gente del posto. «Per prima cosa abbiamo costruito un pozzo per mettere gratuitamente a disposizione della popolazione locale acqua potabile. È stato scavato un pozzo di 66 metri di profondità. Si è poi realizzata una grande strada di collegamento alla rete viaria esistente».
L’avvio di una nuova struttura in un luogo povero e di periferia
Quando nel settembre 2020 il chirurgo Eugenio Ferri e Luciano Sguotti sono arrivati, «non eravamo ancora pronti per avviare l’ospedale»: mancavano tante cose «ma l’arrivo dei due ci ha dato coraggio». Non si poteva ancora accogliere gli ammalati, è arrivato però un bambino con la malaria, gravissimo, non lo si poteva mandare via così ed è stato ammesso. «Così siamo partiti». Ora sono migliorate tantissime cose, sono arrivati container dall’Italia, dalla Germania e tanti aiuti.
L’impatto sul territorio
L’ospedale sta diventando sempre più un punto di riferimento per il territorio e il governo locale lo ha riconosciuto come “hôpital de référence”, per cui altri ospedali della zona possono inviarci i casi difficili da curare.
Quando la gente dei dintorni ha visto la struttura dell’ospedale, tanti hanno acquistato terreni vicino ed ora il posto è popolato, non è più isolato. «Il governo locale ci ha chiesto di dare un nome a questo nuovo quartiere. L’abbiamo chiamato Avenue Focolare: vorremmo che diventasse tutto un focolare dove l’amore scambievole e tutti i nostri valori siano vissuti».
Fonte: Città Nuova