«Io sono stato creato in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato in dono per me»: bellissime parole, ma come è possibile realizzarle sul piano pratico ed educativo visto l’epoca in cui viviamo?

In un periodo, come l’attuale, in cui dominano la tecnologia da una parte e il ritorno economico dall’altra, puntare esclusivamente sul messaggio etico individuale non può ormai più portare a risultati pienamente soddisfacenti.È indispensabile, invece, trovare le motivazioni giuste per discutere di una “nuova solidarietà” 1. «Nuova» perché oltre ad essere basata sui principi etico-religiosi, sappia anche trovare una giustificazione in comportamenti capaci di ottimizzare l’efficacia e l’efficienza degli interventi assistenziali realizzati non attraverso iniziative singole, ma con la partecipazione di tutta la comunità. È proprio il settore medico-assistenziale in cui risulterebbe particolarmente utile realizzare un’educazione alla solidarietà basata su risultati ottenuti da ricerche di biologia o di medicina clinica. Ad esempio, diversi studi documentano l’efficacia del supporto affettivo sul decorso di malattie comuni come l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale o la malattia di Alzheimer.

Linee educative o l’incentivazione di programmi, aventi l’obiettivo di migliorare l’assistenza secondo il doppio binario dell’etica e della professionalità, dovrebbero caratterizzare la realizzazione della “nuova solidarietà”. Attualmente sono, invece, assai carenti.

Si preferisce puntare su obiettivi che forse potranno portare a risultati positivi e si tende, invece, a lasciare nel cassetto iniziative che sicuramente sarebbero in grado di arrecare un beneficio ai malati o ai bisognosi. Non si vede una grande differenza tra le lacune assistenziali oggi esistenti anche nei migliori servizi sanitari dei Paesi occidentali e la mancanza di aiuti concreti alle popolazioni dei Paesi sottosviluppati, rendendole capaci, ad esempio, di ottimizzare l’utilizzazione delle proprie risorse.

Non vi è, allora, neppure una grande differenza tra il progresso sostenibile, di cui oggi tanto si parla 2 e la “nuova solidarietà”: dovrebbero essere una cosa sola!

Un recente editoriale su «Lancet» 3, nel lanciare l’allarme per la quasi totalità dei fondi assegnati alla ricerca biologica di base a scapito delle ricerche per il miglioramento clinico-assistenziale, si fa precedere da questa frase di un autore inglese: «Una società che trascuri di puntare sull’eccellenza dell’idraulica solo perché si tratta dell’idraulica e, invece, apprezza anche la mediocre filosofia solo perché si tratta di filosofia, diverrà rapidamente una società in cui non solo tutte le sue tubature ma anche tutti i suoi principi faranno acqua».

Questa mia è una piccola voce che ha preferito parlare in generale della solidarietà, piuttosto che riferire episodi singoli vissuti nella propria vita di medico, ormai molto lunga. Ve ne sarebbero tanti da raccontare, ma si è preferito così, perché chi scrive pensa che si stia facendo acqua da molte parti.

È vero, oggi il medico ha bisogno di imparare l’arte di relazionarsi, però nessuno gliel’ha veramente insegnato. Sinora lo studente di medicina per tutti i sei anni del Corso di Laurea raramente o mai ha sentito parlare della necessità assoluta, per la gran parte delle patologie oggi epidemiologicamente dominanti, di impostare i programmi di assistenza medica e sociale imperniati sull’intervento di un’équipe multidisciplinare dove sono presenti accanto a varie figure mediche anche altri operatori con competenze diverse. Il principio base di un’équipe multidisciplinare è la piena collaborazione e senza alcuna subalternarietà tra tutti gli operatori che ne fanno parte.

Il medico, invece, diventa tale attraverso una cultura basata ancora sui vecchi principi della medicina tradizionale dove egli è l’attore unico di tutta la procedura dalla diagnosi alla terapia, con l’obiettivo della guarigione della singola malattia. Egli non potrà, quindi, mai “imparare” bene solo attraverso la propria esperienza personale i principi e le strategie del lavoro in comune nell’ambito di un’équipe multidisciplinare operante o in ambiente ospedaliero o in servizi territoriali Sulla base di quanto ha imparato negli studi medici avrà, anzi, la tendenza a mantenere il ruolo di primo attore: il che costituirà un pericolo mortale per il buon funzionamento dell’équipe multidisciplinare.

Insegnare questi principi e queste strategie: ecco un modo sicuramente efficace per realizzare i principi della “nuova solidarietà”, che soprattutto le Scuole Mediche Cattoliche dovrebbero fare propri.

di Pierugo Carbonin

I medici si raccontano

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