Uno stile di vita all'altezza delle sfide del presente: le riflessioni di Chiara Lubich su benessere psicofisico e salvaguardia ambientale. Alcuni brani tratti dal libro edito da Città Nuova.
Il libro Vita salute ambiente, partendo da alcune riflessioni di Chiara Lubich su benessere psicofisico e salvaguardia ambientale, disegna attraverso riflessioni ed esperienze uno stile di vita capace di dare una risposta costruttiva e pacificatrice alle sfide del presente, tra cui la salute, la malattia, la vecchiaia, l’inquinamento del pianeta e, non ultima, la pandemia provocata dal virus Covis-19.
Di seguito alcuni brani tratti dai capitoli del libro edito da Città Nuova.
Brani tratti da: “Scritti di Chiara Lubich”
Corpo
Il carisma dell’unità del Movimento ci ha sempre orientato, per quanto riguarda tutti gli aspetti della nostra vita, a pensare – per così dire – alla grande. E cioè a considerare, ad esempio, la salute non solo fisica, ma anche quella spirituale, non solo personale ma anche collettiva. Infatti noi leghiamo a questo argomento realtà spirituali come la presenza di Gesù in mezzo a noi e la Santissima Eucaristia.
Gesù in mezzo a noi perché la perfetta salute dell’anima nostra sta nella sua presenza fra noi. La nostra tipica spiritualità esige che si raggiunga la salute spirituale non da soli. Come uomini e come cristiani siamo noi stessi solo in relazione con altri. È il rapporto, l’amore ai prossimi che ci fa pienamente noi stessi e cioè Gesù, un altro Gesù. Per questo, per dirci sani spiritualmente e cioè completi, perfetti, realizzati, nella pienezza della gioia, dobbiamo amare gli altri fino a far in modo che Gesù sia in mezzo a noi.
Leghiamo, inoltre, quest’aspetto alla Santissima Eucaristia non solo perché è causa della nostra risurrezione, in cui troveremo perfezionata e perpetuata la salute fisica e spirituale, ma anche perché è per essa che diveniamo con-corporei e consanguinei con Cristo; è essa che ci trasforma tutti nel Cristo che riceviamo, che ci fa Cristo ed è con ciò la nostra salute spirituale.
Psiche
E infine: l’unità. Psicologicamente, per un individuo non è possibile avere il “senso della propria identità” se non ci sono altri che lo riconoscono come soggetto. […] Si ha infatti bisogno di sentirsi e di venire riconosciuti “diversi” per poter essere dono agli altri. Ma per essere dono personale è necessario entrare in comunione.
E qui sta la differenza tra quelli che vengono chiamati “gruppi psicologici” e la comunità cristiana come Gesù l’ha intesa. Un gruppo psicologico è composto da individui che si associano in vista di qualche finalità particolare (club sportivo, associazione civile, politica o religiosa, sindacati, collegi, seminari…), e che perciò interagiscono limitatamente agli interessi comuni da perseguire, così che per tutto il resto ognuno rimane chiuso in se stesso.
La comunità cristiana non si forma invece per motivazioni estrinseche, ma per la natura dell’amore che crea comunione. E che questa sia possibile è un dato di esperienza. Che la motivazione per realizzarla venga dall’invito di Gesù «Amatevi come Io vi ho amati… Siate una cosa sola» e sia di natura religiosa è evidente, ma gli effetti psicologici sono straordinari: ciascuno, essendo relazione d’amore agli altri, si realizza di fatto persona autentica.
Ambiente
Questa della distribuzione dei beni nel mondo, dell’aiuto alle popolazioni più povere, della solidarietà del Nord per il Sud, dei ricchi per i poveri è l’altra faccia del problema ecologico.
[…] Ma questa nuova coscienza solo la religione può darla. Ecco, infatti, il compito della religione: illuminare gli uomini sulle vere cause e i veri rimedi dei grandi mali. La Bibbia, con il suo racconto della creazione, ci insegna che solo nell’armonia col piano di Dio la natura e l’uomo trovano l’ordine e la pace. Se l’uomo non è in pace con Dio, la terra stessa non è in pace. Le persone religiose avvertono la “sofferenza” della terra quando l’uomo non l’ha usata secondo il piano di Dio, ma solo per egoismo, per un desiderio insaziabile di possesso.
È questo egoismo e questo desiderio che contaminano l’ambiente ancor più e prima di qualsiasi altro inquinamento, che ne è solo la conseguenza.
[…] Questo è dunque un altro grande compito della religione: educare al rispetto della natura, portando gli uomini ad aprire gli occhi sulla presenza di Dio sotto la trama delle cose visibili e a far sbocciare nei cuori l’amore per Lui nella sua immensità, nella sua bellezza, nel suo splendore.
Se si scopre che tutto il creato è dono di un Padre che ci vuol bene, sarà molto più facile trovare un rapporto armonioso con la natura.
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Brano tratto da: “Tra le corsie dell’ospedale e le strade del mondo” di Rosalba Poli
La malattia di fatto fa incontrare medico e paziente, che iniziano così insieme un percorso verso il benessere di cui è protagonista soprattutto il paziente. Il medico offre le sue competenze che diventano efficaci attraverso la relazione che si instaura. Questa relazione merita di rimanere sempre “casta”, cioè custodita da eventuali logiche di strumentalizzazione. Per il medico si tratta di non ritenersi detentore di un qualche potere sul paziente, in possesso dei trattamenti necessari – so io cosa tu devi prendere o cosa bisogna fare in questo caso! –, di non servirsi del paziente a fini scientifici o peggio economici. Per il paziente si tratta di assumere la responsabilità della propria salute e di collaborare con sincerità e trasparenza secondo le proprie possibilità.
Questa relazione guida il percorso e riesce a illuminare anche la necessità di cambiare il progetto, di ricorrere a ulteriori specialisti o anche passare il testimone ad altri professionisti, se serve. Tutto questo arricchisce medico e paziente e la relazione terapeutica cresce, anche nel caso di avvicendamento del medico. Il paziente si sente accompagnato e il medico si trova nella posizione di donarsi anche quando fa un passo indietro, arricchisce la vita di nuove relazioni che nutrono la mente e l’anima, fanno sì che la professionalità e la persona evolvano entrambe.
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Brano tratto da: “Il colore della vita” di Andrea Conte
Quando si sente parlare di sport, per esempio, raramente ci si riferisce al lavoro di squadra; al contrario, è il singolo che spicca. È la stella che brilla al di sopra degli altri. Quanti aiutano a sostenere quella stella, e sovente le permettono di brillare, diventano un confuso rumore di fondo.
Questo non significa in alcun modo che i popoli occidentali non abbiano un forte spirito comunitario, ma è più spontaneo per loro pensare in modo individualistico. Si consideri anche solo il numero di premi che vengono conferiti nelle scuole per un’infinità di attività creative individuali. D’altro canto, quanti considererebbero l’armonia del gruppo un valore da premiare? Quanti genitori misurerebbero il successo del proprio figlio non su come, per esempio, ha giocato bene a pallone, ma su quanto ha aiutato gli altri a giocare o su come semplicemente i ragazzi abbiano fatto squadra?
Cambiare paradigma significa mettere da parte se stessi a beneficio del gruppo. Significa lasciare i problemi fuori della porta e sacrificare i bisogni e i desideri personali per rendere più piacevole stare insieme agli altri. È un’esperienza molto più bella da trasmettere ai propri figli, i quali peraltro vivono male i drammi degli adulti, le negatività e le controversie. I bambini sono felici di stare in compagnia della famiglia o degli amici, in un’atmosfera intima, serena e accogliente.
Sin da quando sono molto piccoli, i bambini dovrebbero lavorare su progetti di gruppo che li incoraggino a imparare ad aiutare gli altri, a impegnarsi nel lavoro di squadra e nella costruzione del gruppo. Si dovrebbe insegnare loro a cercare i punti di forza e di debolezza altrui e capire come fare per aiutarsi reciprocamente, andando più in profondità nel rapporto. Infine, si dovrebbe lavorare affinché i bambini più capaci curino anche l’umiltà, perché sviluppino empatia e sappiano prendersi cura gli uni degli altri.
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Brano tratto da: “Una vita di corsa”
Un rapper di Rio de Janeiro, Marechal, canta: «Vuoi essere il migliore? Cerca di essere il migliore della tua comunità». Neide dos Santos segue la stessa linea: «Io non sono qui per cambiare un altro quartiere, dice, magari benestante. La mia proposta è cambiare ciò che mi circonda. La gente prova a convincermi ad aprire altri gruppi, in altre parti della città, ma io non voglio perdere il cuore di quello che faccio: l’accoglienza, la conoscenza delle persone con cui vivo e lavoro. Credo che ciascuno di noi possa cambiare il mondo di qualcuno».
FONTE: CITTÀ NUOVA