Proponiamo alcune riflessioni sull'utilizzo della terapia con siero iperimmune, che sta facendo tanto discutere in questo momento.
I limiti reali del suo utilizzo e la nostra predisposizione ad accettare il procedimento del metodo scientifico
«L’uso del plasma da convalescenti come terapia per il Covid-19 è attualmente oggetto di studio in diversi Paesi del mondo, Italia compresa. Questo tipo di trattamento non è da considerarsi al momento ancora consolidato perché non sono ancora disponibili evidenze scientifiche robuste sulla sua efficacia e sicurezza, che potranno essere fornite dai risultati dei protocolli sperimentali in corso».
Si apre con questa dichiarazione la pagina del Ministero della Salute dedicata all’argomento e aggiornata al 5 maggio; nel seguito viene spiegato in breve il funzionamento di una tecnica ben nota, ma che richiede una specifica fase di “messa a punto” per essere applicata a nuove patologie: il suo utilizzo, come quello di ogni emoderivato, non è esente da rischi e può comportare effetti collaterali anche gravi.
L’utilizzo di questa terapia per il Covid-19 sta generando un grande interesse: il siero iperimmune infatti è usato per neutralizzare tossine o agenti infettivi per i quali non sono disponibili trattamenti specifici, e sono in corso alcune sperimentazioni il cui esito pare promettente. Leggendo il dibattito sui media appare chiaro che si stia approcciando a questa possibilità terapeutica, una fra le tante che si sperimentano, con un eccezionale carico di emotività che rischia di far perdere di lucidità.
Fra tante posizioni speranzose ed equilibrate, c’è chi chiede con enfasi di bypassare il normale iter di valutazione di efficacia a cui devono essere sottoposti i protocolli sperimentali per ogni tipo di patologia, sottolineando che abbiamo una malattia diffusa e pericolosa e quindi ciò giustificherebbe tutta una serie di scorciatoie metodologiche e l’adozione di protocolli semplificati. Molti colleghi, per fortuna la maggioranza, hanno ben chiaro che le regole e i protocolli servono proprio per evitare che in circostanze come queste si proceda a casaccio, utilizzando ogni mezzo che sembra promettente per tentare di salvare vite.
Si dimentica spesso che, quando ci facciamo prendere da questo atteggiamento irrazionale in campo scientifico, produciamo anche tragedie (la storia di questo Paese ne ricorda diverse) e vanifichiamo la possibilità di mettere a punto un protocollo veramente efficace. Per non parlare di posizioni di natura complottistica, che si scagliano contro la rigidità e ottusità della scienza “ufficiale”.
Personalmente, come tanti altri colleghi, inviterei a riflettere con calma su alcuni semplici assunti di base:
1) la terapia con siero iperimmune è una strategia ben nota e usata per diverse patologie, ma richiede un protocollo di messa a punto specifico, grandi quantità di plasma che non può essere donato a caso da chiunque: il plasma si ricava dai pazienti guariti, che sono ancora pochi e per lo più anziani, mentre i donatori devono essere in buone condizioni di salute e privi di altri fattori di rischio. Ci vuole quindi molto tempo e una seria valutazione del rapporto rischi benefici;
2) la terapia non sostituisce il vaccino e nulla ha a che fare con la ricerca di un vaccino. Sono due percorsi paralleli, due armi totalmente diverse e non c’è alcun interesse a inibire lo sviluppo dell’una per privilegiare l’altra, se non altro perché si venderebbero molto bene tutte e due.
3) raccogliere dati ed evidenze sul funzionamento dell’una o dell’altra strategia terapeutica richiede tempo e regole condivise, in modo che tutta la comunità scientifica possa criticare i dati raccolti, mettendo alla prova le conclusioni.
Soprattutto trovo utile riflettere su quest’ultimo punto: la scienza procede così a garanzia di tutti ed è proprio il metodo scientifico a darci una grande lezione di trasparenza; lo dovremmo conoscere meglio, così come ce l’ha insegnato Galileo. Il suo approccio è fatto di “sensate esperienze” e “certe dimostrazioni”, ossia è capace di coniugare le prove riproducibili con la solidità della dimostrazione matematica: rifugge dal dogmatismo e dalle posizioni ideologiche, non ha paura di falsificare le ipotesi, anche quando erano assai promettenti e desiderabili. Non teme alcun tipo di confronto o verifica e non contempla alcuna verità immutabile: ogni cosa è vera fino a prova contraria, anche quando non vorremmo che fosse così.
Io credo che sia bello anche soffermarci a riflettere sul rapporto fra questo metodo, trasparente e oggettivo, e il bene comune: scegliere per il meglio presuppone infatti il coraggio di poter accettare che non esiste alcuna verità, presunta o nascosta, che non possa essere messa in discussione da un fatto nuovo, o da un approccio migliore. Questo è ciò che permette di progredire nelle conoscenze, senza rifiutare alcun contributo, ma senza assumere posizioni premature per partito preso, o perché le conclusioni ventilate sono quelle desiderabili.
La scienza non è democratica e forse può apparire appare fredda a chi non conosce questa sua profonda umiltà, che è la sua grandezza.