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Mentre il continente è ormai l’epicentro mondiale della pandemia, non solo va ridotto il numero dei contagi ma anche quello dei poveri, che purtroppo sono in forte aumento

 

Dall’Italia e dalla Francia ci giungono le foto di parenti ed amici in vacanza. Ne siamo felici per loro, ma le osserviamo straniti. Non tanto per il fatto che qui, nel Cono Sud latinoamericano, si sia in pieno inverno, quanto per la sensazione di una, almeno apparente, spensieratezza per noi estranea quanto lontana. Già, quando torneremo ad essere spensierati?

Brasile
L’Organizzazione mondiale della salute assicura che il Brasile sta riuscendo ad appianare la curva dei contagi da Covid-19, e pare che i 34 mila nuovi casi di venerdì ed i nuovi 1.100 decessi lo stiano indicando. I media brasiliani hanno dovuto formare un pool per mettere insieme dati per comprendere la situazione, perché il presidente Bolsonaro – contagiato dal virus – è in rotta di collisione col giornalismo e lesina informazioni.

Ma il presidente è contro chiunque pensi diversamente da lui e faccia menzione della pessima gestione della crisi sanitaria che ha provocato quasi 2,1 milioni di contagiati e quasi 80 mila morti, con un ministero della Sanità retto da un generale – ministro ad interim – e da uno staff gerarchico fatto di uniformati pensionati o in attività. Tutta gente abituata al verticalismo e a non discutere ordini, l’esatto contrario di come dovrebbe essere affrontata “scientificamente” una sfida che ha bisogno di valutare sempre tutte le ipotesi possibili.

Ma gli specialisti che operano al ministero affrontano una situazione sanitaria di per sé complessa, ora col rischio ulteriore di vedersi silurati per opporsi a disposizioni interne. Pertanto, ci pensano sopra due volte prima di opporre un “ma” o un “se”. È il fattore che sta bloccando la catena di trasmissione di politiche sanitarie applicate durante decenni e che, a fatica, hanno consentito di affrontare crisi varie, dall’Aids al dengue, dal zika alle conseguenze della fame. A nessuno sfugge che a Bolsonaro non interessa il numero di morti, mentre punta ad ottenere quanto prima l’immunità di gregge. Il suo fatalismo –alimentato da una primitiva interpretazione della Bibbia e, non ultimo, anche il fatto che i settori che lo votano non sono quelli direttamente più esposti al virus – lo porta a considerare coloro che soccombono come un prezzo da pagare per evitare maggiori problemi economici.

Una situazione che ha preoccupato un giudice della Corte Suprema brasiliana in vacanza in Portogallo. Gilmar Mendes ha preso atto, stupito, della pessima immagine all’estero del governo del suo Paese. Non solo, ma è stato anche messo in guardia dalla possibilità di un’accusa di genocidio contro Bolsonaro davanti al Tribunale penale internazionale.

La denuncia è in fase di studio ed è stata presentata dall’ex candidato presidenziale Ciro Gomes, ma ha provocato una conversazione telefonica tra Mendes e Bolsonaro nella quale il magistrato ha detto di condividere l’idea che le forze armate si stiano prestando a una metodologia genocida. Se esistono seconde intenzioni – Mendes sa molto bene che ha suscitato un vespaio –, ed in politica vanno analizzate anche le terze intenzioni, non significa che istituzionalmente il Paese non viva devastato dall’avventura bolsonarista oltre che dalla doppia crisi sanitaria ed economica.

Argentina
Il quadro generale latinoamericano dice che c’è poco spazio alla spensieratezza. A sud del Brasile, l’Argentina allenta le misure restrittive potendo registrare effetti contenuti, per ora, forse tra i migliori: 120 mila casi e circa 2.200 decessi. Gli argentini sono rimasti a casa durante quattro mesi, nonostante la delicata situazione economica, col Paese sull’orlo di un nuovo default che potrebbe precluderle molte vie d’uscita alla crisi economica.

Saranno rese flessibili le misure restrittive con prudenza, perché non ci sono dati che indichino che i contagi siano sotto controllo. Ma mentre il governo fa i conti con il virus, li deve fare anche con i suoi creditori ai quali deve destinare risorse che oggi sarebbero indispensabili per affrontare l’emergenza. Gli argentini hanno serie responsabilità in merito ai debiti contratti negli ultimi anni, ma desta stupore che i suoi creditori – che non sono poveri – non avvertano la gravità della situazione. Oggi la metà della popolazione è povera.

Cile e Perù
Il Cile registra lievi miglioramenti nella grande zona rossa della capitale e dintorni. È il Paese col numero più alto di casi in rapporto alla popolazione, 320 mila con oltre 8 mila morti, e questo rivela la pessima strategia iniziale di immunizzazione di gregge. Ma è un governo lento e poco attento alle critiche, che perde ogni giorno legittimità. Ci sono stati conati di ripresa delle proteste che hanno scosso il Paese mesi fa, e per questo si sta facendo strada un progetto di legge per consentire il ritiro per la popolazione bisognosa di parte dei fondi pensionistici, risparmi individuali amministrati da entità private. Ciò significherà ridurre ulteriormente le future pensioni, già note per essere a un livello indecente, e parte di un sistema che le amministra in modo scandalosamente abusivo.

Lo stesso è già avvenuto in Perù, dove la classe media cerca di tirare avanti con i soldi che dovrebbero servire per la vecchiaia. La prossima curva da appianare in tutto il mondo sarà proprio quella della povertà.

Messico, Bolivia e Colombia
I numeri cileni sono invece ampiamente superati dal Messico, prossimo ai 340 mila casi e 40 mila morti. Il governo ha modificato varie volte la data attorno alla quale la curva era supposta appianarsi, ed oggi bisogna parlare di varie curve, a seconda delle regioni del Paese. Anche in Bolivia si è lontani dall’appianare la curva. La presidente e vari ministri sono in quarantena perché contagiati, mentre si sta perdendo il controllo della situazione, con circa 1.900 casi giornalieri e un totale di 56 mila positivi su poco più di 10 milioni di abitanti. Succede qualcosa di simile in Colombia, dove pure vengono flessibilizzate le misure restrittive, mentre i casi crescono: più di 8 mila nuovi positivi al giorno, con un totale attorno ai 190 mila e circa 6.500 morti.

A questo punto occorre chiedersi se avrà ancora senso pensare a un pianeta diviso in regioni devastate dalla crisi, perché si accentueranno ulteriormente le disuguaglianze già scandalose esistenti. Da questo tunnel non si esce soli: la questione è come uscirne. Forse è per questo che non riusciamo a essere spensierati.

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