Una biografia per conoscere una straordinaria figura di educatrice il cui nome è legato ad un’opera al servizio di bambini e adolescenti disabili.
Indimenticabile quell’agosto 1972, in vacanza a San Silvestro di Curtatone (famoso per la battaglia del 1948, Prima guerra d’indipendenza) a quasi cinque chilometri dal centro di Mantova. Ero ospite con alcuni membri del complesso Gen Rosso nella “Casa del Sole”, una villa ottocentesca in stile tardo gotico ristrutturata per ospitare, a partire dal 1966, un centro di riabilitazione per bambini e ragazzi con disabilità grave e medio-grave: cerebropatici, insufficienti mentali o con handicap fisici. Chi aveva tenacemente voluto questa struttura d’avanguardia come risposta ad un’urgenza non più procrastinabile, chi ne costituiva l’anima era Vittorina Gementi, oggi considerata una delle figure più significative della vita sociale, politica, educativa ed ecclesiale mantovana del secolo scorso (è morta nel 1989).
Ammiratrice della spiritualità dei Focolari, la Gementi aveva messo a disposizione per il nostro gruppo la Casa del Sole, in quel mese estivo quasi libera dai consueti ospiti, con l’annesso parco dotato di cappella: una graziosa casetta di legno simile ad una baita di montagna. Vittorina seguiva con discrezione le nostre giornate di riposo, di spiritualità e anche di creatività (eravamo impegnati a scrivere musica e testi di una nuova messa per l’11 agosto, festa di santa Chiara), quando non ci accompagnava in gita nei dintorni del lago di Garda.
Di lei ricordo soprattutto il sorriso, il calore umano, l’entusiasmo contagioso, l’intelligenza illuminata dalla fede, i modi rispettosi, gentili e delicati: in breve, una figura capace di farsi prossimo con chiunque – dai bambini agli educatori, dai parenti agli amici – e la cui sola presenza portava pace, gioia, luce. Sì, Vittorina era il vero Sole di quella Casa che nella sua visita del 23 giugno 1991 Giovanni Paolo II paragonò ad un «santuario», segno di quella «civiltà dell’amore fondata sull’accoglienza, la misericordia e la carità».
Fu, quello nel ’72, l’unico mio contatto con la fondatrice, ma da allora il ricordo luminoso di Vittorina mi ha sempre accompagnato come quello di una santa dei nostri tempi, ritenuta tale già in vita dai suoi concittadini. Di lei è ora in corso il processo di beatificazione.
Immaginate quindi l’interesse e la commozione con cui ho accolto la sua prima biografia edita di recente dalle Paoline: Quell’inutile carezza. Vittorina Gementi, una santa laica. Con l’autrice Adriana Valerio, storica e teologa, ho ripercorso le tappe di una vita frenetica perché tutta donata agli altri, soprattutto ai bambini più indifesi e svantaggiati, nell’impegno socio-educativo: dapprima come delegata diocesana dell’Azione cattolica e maestra nelle zone rurali e povere del Mantovano, poi come assessora all’Infanzia e infine ortopedagogista. Una cristiana che godette del sostegno di ecclesiastici sensibili e lungimiranti, nella quale la contemplazione (quel rapporto intimo con Cristo, quel credere nella provvidenza che le consentiva di superare pregiudizi e contrarietà) si armonizzava con l’azione generosa e senza risparmio, tanto da dover essere talvolta frenata da chi la conosceva a fondo.
Scrive la Valerio: «Si potrebbe erroneamente pensare che Vittorina sia stata pervasa dal solo senso di pietà davanti alla sofferenza, da una sorta di compassione che le facesse abbracciare l’altrui dolore. Si trascurerebbe in tal caso il profondo senso di giustizia che muoveva il suo impegno. Era convinta, infatti, che “a chi meno ha ricevuto si deve dare di più” e che si debba rendere un servizio a chi, nel bisogno, è incapace di far valere i propri diritti. Per questo s’indignava profondamente davanti alle ingiustizie sociali, motivo di disparità di trattamento e indifferenza nei confronti delle esigenze dei singoli. Per lei tutti dovevano avere pari trattamento e riconoscimento di dignità, in quanto creature di Dio, figli dello stesso Padre».
Vittorina ha lasciato, oltre alla sua fondazione, una ricca documentazione formata da lettere, diari, trattati, meditazioni, preghiere, conferenze, interviste, video, foto, testimonianze. L’Appendice del libro riporta solo alcuni di questi scritti. Da quello che viene considerato il suo testamento spirituale ho scelto questo brano: «Ho conosciuto famiglie meravigliose, che sanno compiere miracoli d’amore e di servizio per i loro figli con handicap cerebrale anche gravissimo. I sacrifici e le rinunce sono per loro motivi di gioia e di unità. La presenza del bimbo gravissimo è per loro fonte di ricchezza interiore. Da loro ho imparato che, per amare davvero, bisogna rispettare la “diversità di ognuno” e crescere nel dono reciproco, senza pretendere di essere sempre noi a dare, ma aprendoci a ricevere, con gioia, il messaggio che Dio ci manda attraverso ogni uomo e in qualsiasi condizione di povertà.
«La nostra fede ci vuole persone entusiaste, ottimiste e creative, perché attente ai bisogni e alla giustizia. […] Ognuno di noi faccia ciò che può, oggi, subito e nel luogo ove si trova, senza criticare, senza lamentarsi, sapendo che il Signore ci è accanto, ci ascolta e non solo ci aiuta, ma vuole che lavoriamo gratuitamente scegliendo sempre gli ultimi, che nel Regno sono i primi».