Narrazioni
Storia di un medico, specialista in salute pubblica a S. Paulo, e del suo lavoro in favore dei meno abbienti
Da 15 anni sono dipendente comunale presso il comune di Vargem Grande Paulista, vicino a S. Paolo. Dal 2002 al 2004 sono stata direttrice tecnica e assessore municipale della Sanità. In quel periodo ho potuto conoscere meglio il Movimento dei Focolari e lavorare insieme in un programma per la salute della famiglia; abbiamo così costruito un centro sanitario in un quartiere chiamato Jardim Margarida, vicino al Centro Mariapoli nella Cittadella del Movimento dei focolari. Abbiamo un obiettivo comune: lavorare per tutta la comunità senza discriminazioni.
Ho molti pazienti anziani e spesso mi capita che qualche anziano ammalato mi chieda titubante se sono disponibile ad accettarlo come paziente, magari perché non accettato da altri medici. È vero che ogni volta mi viene la tentazione di non prendermi carico di situazioni che so in partenza significare frequenti visite domiciliari, accertamenti e ricette in più, ma ogni volta mi rendo conto che sono proprio loro, quelli che più mi costano perché irrimediabilmente ammalati, che mi danno la dimensione più vera del mio essere medico, che ha la sua radice nella possibilità di condividere ogni giorno l’esperienza più vera e profonda dell’uomo: il dolore.
Ogni giorno del mio lavoro di medico di famiglia riscopro con gioia quale importanza vitale abbia per me vivere la mia giornata lavorativa puntando a costruire rapporti veri con i miei pazienti. Me ne accorgo magari in quei giorni in cui, per stanchezza o preoccupazioni personali, mi ritrovo ad aver visitato tutto il giorno con approssimazione o distrazione e mi sento vuoto, ancor più stanco, e mi viene la noia per un lavoro che mi appare monotono, ripetitivo.
Elena era una neonata di 4 giorni in condizioni ormai gravissime per le conseguenze di un fatto acuto imprevedibile.
Quando si è capito che non c’erano prospettive di miglioramento, per me è stato molto importante condividere con i genitori la decisione di non proseguire cure intensive che non avrebbero condotto a nulla e la necessità invece di somministrare una terapia antalgica efficace. I neonati sono infatti pazienti che non esprimono il dolore chiaramente, ma non possiamo dimenticare questo aspetto.
La sera in cui appariva ormai chiaro che Elena ci avrebbe lasciato, ho fatto un breve incontro con le infermiere di turno con me ed abbiamo deciso di attrezzare un angolo della Terapia Intensiva in modo da dare un po’ di privacy ai genitori che hanno scelto di esserle accanto fino alla fine.
Quando sono partita per l’Etiopia, sapevo di tornare in un luogo dove ero
già stata e questo mi sembrava un grande vantaggio perché pensavo che mi
sarei ambientata in fretta ed avrei ripreso in un certo senso dal punto in
cui avevo lasciato 4 anni fa.
al personale assistenziale dell' Ospedale dove è stato ricoverato, nell'ultimo periodo della sua vita
Egregi Signori,
ho avuto occasione di essere ospite della Vostra struttura per una neoplasia polmonare in stato avanzato.
Da venticinque anni la mia professione (lavoro per una società che commercializza prodotti per laboratorio di analisi) mi ha costantemente portato a contatto con la sanità italiana, sperimentandone giorno dopo giorno il lento e costante declino sotto molteplici aspetti.Inefficienza, degrado, opportunismo, qualunquismo, superficialità, arroganza, arrivismo sono solo alcuni degli aggettivi che mi sento di utilizzare per descrivere quanto ho vissuto in questi anni ogni qualvolta ho messo piede in un laboratorio pubblico o ho avuto a che fare con l’amministrazione ospedaliera.